Sottobicchieri

Santa birra

Storie di birra | 1

Birra e santità. Il binomio sembrerebbe blasfemo. Ma (almeno in un caso) non lo è, e si muove lungo l’asse Calabria-Baviera.
Da un meridione a un altro: precisamente da Paola, un paesino appeso al mare in provincia di Cosenza, sulla riviera che guarda al Tirreno, a München, la terza città della Germania, patria (ma più tardi, dal 1810; la festa nacque infatti alla fine di una corsa di cavalli, all’interno delle celebrazioni per il matrimonio tra il principe ereditario Ludwig e la principessa Therese il 12 ottobre, e va avanti ancora oggi) della fiera più grande del mondo, l’Oktoberfest dei sette milioni e mezzo di boccali di birra e dei sei milioni di visitatori.

Il santo, proclamato tale da Papa Leone X il 1° maggio del 1519, si chiama Francesco e la birra, tra le tedesche più famose, sfoggia in etichetta ancora oggi un frate dal cappuccio.

Nato nel 1416 e morto nel 1506 a Tours, San Francesco da Paola – tra l’altro protettore dei marinai – di miracoli ne annovera parecchi; in mezzo a questi molti, l’attraversamento dello stretto di Messina sul suo mantello, dopo che il barcaiolo Pietro Coloso si era rifiutato di traghettare gratuitamente lui ed alcuni suoi seguaci; la moltiplicazione dei pani per Cola Banaro e altri otto operai a Galatro; un miracolo curioso, si ricorda a Paola, è anche l’aver resuscitato una trota, di nome Antonella, e un agnellino, di nome Martinello.

Proprio nella piccola città del sud, dopo alcuni anni passati in eremitaggio, nel 1454 Francesco fonda un monastero per sé e i propri confratelli, dei giovani che avevano scoperto il suo antro di romitaggio, e gli si erano voluti fare discepoli: è il primo del neonato «Ordo fratrum minimorum», l’«Ordine dei Minimi» i cui monaci vivevano secondo rigide regole francescane nella ascesi più rigorosa, poi ne sarebbero sorti molti altri; oggi sono oltre quaranta, sparsi dall’Italia al Brasile, all’Ucraina, alla Colombia, al Congo e all’India.

Francesco, di vita austerissima (nei sui 90 anni di vita non mangiò mai carne, uova, latte, formaggio) e col dono dell’estasi, patrocinò i diritti degli umili contro i soprusi dei signorotti e dei principi con fierezza apostolica e fu politico d’umiltà, ascoltato anche a Roma; in breve tempo per il suo carisma e le sue opere diventò famoso, tanto che per le sue doti taumaturgiche fu chiamato al soccorso dal re di Francia, Luigi XI, che aveva corte a Tours ed era infermo; alla chiamata terrena il santo rifiutò, e il buon papa Sisto IV – cui nel frattempo Luigi si era rivolto – allora lo comandò, sapendo che il frate non avrebbe disobbedito.
Francesco si avviò, già sessantasettenne, alla corte del Re Prudente, e a casa non tornò più: al re non portò la guarigione corporale ma quella spirituale, tanto che Luigi chiese al santo di guidare spiritualmente anche il figlio, Carlo VIII.
Alla Corte di Francia il frate rimase altri venticinque anni, e da qui i suoi Minimi si diffusero in tutta Europa, prima nella medesima Francia, dove erano noti col nome di Bons-hommes, e poi negli anni successivi in Spagna (e si chiamarono “padri della Vittoria”, perché Francesco aveva predetto a Ferdinando II la sua vittoria sui mori) e in Germania.
Fu proprio in Germania, dal 1629, dopo aver fondato a Monaco, in via Neuhauser Straße, il monastero di Neudeck ob der Au, che i Minimi iniziarono a produrre la birra per consumo interno, naturalmente secondo il decreto di purezza del 1516: era una birra robusta, la Paulaner Salvator; in base alle regole dell’ordine i frati la utilizzavano come “pane liquido”, soprattutto durante il periodo del digiuno, per sostenersi; quella che non veniva consumata veniva donata ai poveri o venduta nella foresteria del monastero.
La loro birra trovò ben presto numerosi estimatori, tanto che nel 1634 gli altri birrai di Monaco, cui era stato concesso il diritto esclusivo di birrificazione, si lamentano con il borgomastro.
Il tentativo, fallito, è di proibire ai monaci paolani la produzione di birra.
Questa diventa così la prima attestazione storica del birrificio, tanto che il 24 febbraio 1634 è considerata la data di fondazione ufficiale di una delle industrie più importanti d’Europa, la Paulaner.
Da quel momento la produzione ebbe un forte incremento, e nel 1660 al monastero fu concesso ufficialmente dal principe elettore Ferdinando Maria il diritto di birrificare.
Nel 1751 il principe elettore Massimiliano III Giuseppe concede ai monaci Paolotti il permesso di mescere birra in occasione della festa del fondatore dell’ordine, il loro santo patrono, ogni 2 aprile – data del termine della vita terrena del santo, e sua ricorrenza nel calendario –, e intorno al 1780 i frati iniziano a venderla ufficialmente al pubblico.
Dopo l’abolizione dei conventi in tutta Europa, alla fine del Settecento, la storia della Paulaner diventa laica, e nel 1806 l’imprenditore e fabbricante di birra Franz Xaver Zacherl acquista, modernizza e amplia il birrificio continuando la tradizione della bock originaria sotto il nome di Salvator.
Nel 1928, con la fusione con il birrificio di Thomas Gebrüder, nasce la Paulaner Salvator Thomas Bräu, e la birra diventa, definitivamente, industriale.
Paulaner appartiene oggi al gruppo BHI, e nel 1999 è diventata Paulaner GmbH & Co. KG e include anche i birrifici Hacker-Pschorr, AuerBräu di Rosenheim, Thurn und Taxis di Ratisbona e il birrificio weizen Hopf Miesbach. Fa parte, con Spaten, Augustiner, Hacker-Pschorr, Hofbräu e Löwenbräu, dei 6 fabbricanti di birra ufficiali dell’Oktoberfest di Monaco, ma possiede anche dei ristoranti con produzione interna di birra: il primo microbirrificio è nato già nel 1989, nella Kapuzinerplatz di Monaco. Il primo locale con il marchio Paulaner in Italia è stato inaugurato nel 2005 a Bolzano, con il nome di “Paulaner Stuben”.
È una multinazionale, ed è un’azienda laica, ma conserva un legame ancora molto forte con le origini: nel logo che rappresenta un francescano mentre beve birra, nel recentissimo regalo che il birrificio ha fatto al monastero per i cinquecento anni dalla canonizzaione di san Francesco di Paola, dedicandogli una birra speciale (la Paolaner, una Doppelbock a bassa fermentazione spillata a Paola il 2 maggio, in occasione dei festeggiamenti ufficiali), ma anche in alcuni piccoli, e minuscoli, dettagli.

Andate a Paola. Fate la via crucis. In cima alla strada, incassato in un corrugamento della montagna, sopra a un fiumiciattolo, troverete il santuario. Visitatelo. Oltre alla chiesa seicentesca, su un lato, trovate la zona dei miracoli. Passateci del tempo, attraversate il bosco, bevete alla fonte della Cucchiarella, uscite, tornate nel piazzale e fermatevi al bar. Che santa birra pensate di trovare nel frigo?


Casa Fogliani è un’officina creativa nata a partire dall’obiettivo di valorizzare risorse e attività e prodotti enogastronomici d’eccellenza, con la possibilità di destinare delle risorse a uno scopo con valore sociale altrettanto eccellente: il progetto intende infatti reinvestire le marginalità realizzate dalle iniziative e con la vendita dei prodotti, tra cui due birre appositamente prodotte per conto della fondazione EDUCatt dal birrificio Argo di Lemignano di Collecchio (PR), in borse di studio, sostegno economico e servizi per studenti in estrema difficoltà.
Per ciascun anno accademico vengono attivati uno o più percorsi di laurea in Università Cattolica a favore di giovani in condizioni di estremo bisogno, di provenienza nazionale e internazionale. I beneficiari verranno sostenuti per tutto il periodo necessario al raggiungimento della laurea – fino a un massimo di cinque anni – e assistiti per agevolare l’ambientamento e lo svolgimento degli studi, con una verifica costante del mantenimento delle migliori condizioni per il raggiungimento del successo. Il sostegno prevede vitto, alloggio, vestiario, assistenza sanitaria, strumenti di studio, contributo economico per le spese quotidiane e il mantenimento, la possibilità di accedere al programma studentwork e tutto quanto è necessario per una vera accoglienza.
«Questa (non) è una birra» è la campagna che nasce per sostenere il progetto: perché la birra Clelia (una cream ale) ed Elettra (una amber ale) sono buonissime, ma soprattutto perché acquistandole o consumandole si contribuisce da subito, e concretamente, a un progetto ad alto valore sociale.

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