Una conversione e un pellicano
Una cappelletta seminascosta, in Università Cattolica a Milano, racconta la storia di una conversione e conserva al suo interno una preziosa opera di Giacomo Manzù.
In Università Cattolica a Milano, al primo piano del primo chiostro intitolato a papa Benedetto XV, sul lato dell’attuale rettorato, seminascosta, c’è una cappella piccola, con un curioso ciborio semicircolare rosso e blu. Fu ricavata dal 1932 – come ricorda don Piero Conte in un piccolo ma prezioso studio sulle cappelle e altari storici dell’Ateneo (P. Conte, Cappelle e altari “storici” dell’Università Cattolica 1921-1938, I.S.U. Università Cattolica, Milano 2006, p. 10) in un luogo molto particolare: era collocato, lì dove si trova l’altare, il laboratorio di microbiologia dell’ospedale militare cui il monastero era stato adibito nei primi anni del secolo.
Qui incrociarono le loro vite due volontari, soldati di leva, aspiranti alla carica di aiutanti di sanità della III Compagnia, i giovani medici Ludovico Necchi (1876-1930) ed Edoardo Gemelli, amici e compagni di classe al Liceo Parini; l’uno religiosissimo anche in contrasto con i genitori, l’altro da sempre positivista, agnostico se non ateo, e socialista. Qui i due – il primo assegnato per sua scelta ai servizi più umili di infermeria, il secondo al laboratorio scientifico – si ritrovarono a parlare, a discutere. Qui la pietas e le virtù di Necchi fecero vacillare le convinzioni di Edoardo, che in una mattina di passione, il venerdì santo del 1903, decise di farsi accompagnare da Necchi in chiesa e iniziò il cammino di conversione che si sarebbe concluso con la sua adesione all’ordine francescano con il nuovo nome di Agostino e all’inizio di una avventura incredibile come quella della fondazione dell’Università Cattolica, di cui Agostino Gemelli fu ideatore e primo rettore (di sé diceva: «ho tanti difetti. Li riconosco tutti. Sono violento, sono prepotente, sono confusionario, sono abborraccione. Riconosco. Ma Dio si serve anche dei difetti per i suoi fini. Per fare una certa opera, ad un dato momento, ci vuole un certo uomo, anche con i suoi difetti. Ecco: per fare l’Università ci vuole un uomo come me» [Sticco, p. Gemelli, p. 342]).
Tornando al 1932 la cappella, luogo intimo da lì in poi per p. Gemelli, fu costruita anche con il contributo dei muratori della ditta «Figli di Pietro Castelli» e dedicata a san Francesco ricordando delle virtù francescane di Ludovico Necchi, nel frattempo passato alle braccia del Padre nel 1930: da allora, destinata agli studenti e oggetto di alterne vicende – semidistrutta nel bombardamento che colpì la sede ad agosto del 1943, per un certo periodo sacrificata a deposito, poi a una destinazione amministrativa – continua ad accogliere silenzio e preghiera di chi la conosca. Conserva tra l’altro uno sportello in oro del tabernacolo, opera a sbalzo dello scultore Manzù, che raffigura il Pius pelicanus, di rimando medievale, una metafora piuttosto frequente per l’animale che si credeva versasse, come figura di Cristo, il suo sangue per far tornare alla vita i suoi figli e che si diceva avesse virtù guaritrici e divinatorie, specie per re e sovrani che frequentemente ne tenevano a lato un esemplare.