Alla ricerca di una biblioteca
Un luogo da romanzo, quello della Biblioteca dell’Università Cattolica a Milano, i cui chilometri di libri sono un imponente omaggio alla cultura e alla storia dell’Ateneo, oltre che un prezioso strumento per gli studiosi.
Come nella migliore delle tradizioni è una biblioteca da romanzo, quella dell’Università Cattolica, edificata dalle ceneri della precedente benedettina e poi cistercense del monastero di mano bramantesca, affiancato alla Basilica di Sant’Ambrogio, quando i fondatori dell’Università Cattolica posero le basi per un nuovo ateneo privato che a Milano fosse espressione e fulcro formativo dei cattolici italiani.
Non c’è il finis Africae, non ci sono tasselli da spingere per entrare in porte segrete – anche se di porte poco in vista ce ne stanno, e fino a qualche tempo fa c’era un ingresso al primo piano da cui si accedeva alla Sala Consultazione solo per i pochi che lo conoscevano – né monaci ciechi che intingono di veleno dei manoscritti, ma il labirinto di corridoi e i chilometri del magazzino impressionano, tra libri e libri, a passarci dentro.
All’interno del monastero la biblioteca, secondo le prime ricostruzioni storiche, poteva essere collocata nel seminterrato sottostante il refettorio: nel 1990 la prof.ssa Gatti Perer ricordava come «una serie di dati consente di formulare l’ipotesi che, nel progetto originale di Bramante, [la biblioteca] dovesse far parte di un complesso unitario di cui l’aula a tre navate sottostante l’attuale Aula Magna costituiva la base. Essa si doveva innalzare su un piano rialzato, ubicata in luogo eminente e veramente monumentale». È l’attuale e suggestiva Cripta dell’Aula Magna, un’aula “nascosta” e seminterrata, da circa 150 posti, scandita in tre navate da due file di colonne in granito grigio con semplici capitelli a foglie d’acqua, con un sistema di volte a crociera, che il prof. Rovetta (A. Rovetta, La Fabbrica perfetta e grandiosissima, Vita e Pensiero, Milano 2009, pp. 59-65) notava «realizzato con materiali recuperati dall’antico monastero, se non sia addirittura da considerarsi una struttura preesistente», probabilmente destinato a servizi e non a biblioteca o refettorio, se non in casi particolari al posto del soprastante, più difficile da riscaldare.
La Biblioteca del monastero era dunque più probabilmente collocata in posizione perpendicolare all’ingresso, scomparsa nell’accidentato succedersi delle guerre napoleoniche e nella trasformazione del monastero in ospedale – qui maturò la sua conversione Edoardo Gemelli, che significativamente si diede il nome di Agostino; ma questa è un’altra storia, da raccontare altrove – e nei lavori degli anni ’30 infine sostituita con la cappella centrale, un luogo estremamente significativo per i costruttori del tempo.
La nuova biblioteca dell’Università fu progettata dall’architetto Giovanni Muzio nel 1931 per essere in posizione centrale, tra i due chiostri bramanteschi, in uno spazio fortemente simbolico e adatto a ospitare più di 200.000 volumi e che evolveva le dodici sale e i cinquantamila volumi del nucleo originario, collocato nella prima sede di via Sant’Agnese. All’ingresso era introdotta dalla scritta «Charitas veritatis veritas charitatis», di sapore agostiniano e come quella del monastero in cui il fondatore aveva completato la sua conversione; il patrimonio librario portava l’impronta certa di p. Gemelli, il fondatore e rettore dell’Ateneo, e quella di una libertà di acquisizioni sempre difesa (tra l’altro, l’Ateneo era l’unico in Italia ad avere a disposizione negli anni Trenta l’edizione tedesca delle opere di Lenin), anche durante il periodo fascista – nonostante le proteste del Ministero degli interni – e nel corso della guerra, quando gli ordini di libri verso le nazioni in conflitto venivano realizzati attraverso la Città del Vaticano e poi recapitati in camion a Milano.
Nel 1960 la sede fece posto a nuove aule (lo racconta Cecilia De Carli, in La progettazione e la realizzazione delle sedi di Milano e Piacenza, nel volume Storia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore: le istituzioni, vol. V: I patrimoni dell’Università Cattolica, a cura di M. Bocci-L. Ornaghi, Milano, Vita e Pensiero, 2013) e venne spostata in un corpo a sé stante, sotto l’impulso del rettore Francesco Vito e del prof. Giuseppe Billanovich, cui oggi è intitolata la sala di consultazione, andando a occupare il corpo di un edificio distrutto dai bombardamenti. A quel tempo risale anche lo smantellamento della «sezione proibita» normalmente chiusa a chiave in cui si conservavano più che altro i libri vietati dalla legislazione fascista.
Un patrimonio complessivo che oggi conta quasi due milioni di volumi e che cresce al ritmo di circa 22.000 volumi l’anno, senza contare le collezioni digitali, rinnovato nelle strutture nel 2021 – in concomitanza con il primo centenario dell’Università – per continuare ad accogliere come da tradizione studiosi dell’Ateneo e di tutta Italia, soprattutto grazie alla sua ricchissima collezione di bibliografie, dizionari, enciclopedie, repertori e collezioni di fonti per le discipline umanistiche, in un ambiente pensato per assicurare «un alto grado di comfort e un’esperienza d’uso ottimale».
Se capita, superando lo sguardo non più severo degli addetti (una volta impegnati soprattutto nel far rispettare i silenzi e nel rimettere a posto i libri lasciati sui tavoli di consultazione dagli studiosi, guardando i primi pc portatili con il gran sospetto di chi non comprende proprio a che cosa possa servire uno strumento di quel tipo in una biblioteca), è un’occasione e un’esperienza di visita impagabile, che ciascuno studente dovrebbe fare almeno una volta durante il proprio percorso universitario.