Un secolo di storie nel logo dell’Università Cattolica
Corre il 1925 quando il sigillo rappresentativo dell’Università Cattolica, dopo qualche anno di prove e sperimentazioni, compare su una pubblicazione ufficiale dell’Ateneo. Da lì in avanti il logo ha accompagnato generazioni di studenti, dai diplomi di laurea ai libretti universitari, aggiornandosi nel segno della tradizione.
Questa storia di grafica, design e creatività inizia con un concorso, bandito nel 1922 dal «Bollettino degli Amici dell’Università Cattolica», per un’immagine che rappresentasse significativamente la nuova Università dei Cattolici italiani, appena – avventurosamente, con dedizione e azzardo – fondata; una sigla o uno stemma da riprodurre «nei sigilli, sulla carta da lettera, in un distintivo».
Si cercava un simbolo, in cui preferibilmente figurasse il motto «In religione scientia, in scientia religio», che accompagnava in quegli anni l’iconografia, ancora incerta, del nuovo Ateneo e che si trovava anche sulla copertina del Bollettino, «sotto un medaglione con il busto di un giovane che tiene due libri in mano (probabilmente da riferirsi alla scienza e alla religione) e due bande ai lati con decorazioni a nodi e Sacri Cuori», come ricorda Alessandro Rovetta che del logo ha ricostruito le prime mosse.
Il bando, che venne comunque pubblicato anche su altre testate cattoliche, lasciava spazio a ogni tipo di proposta per testo e immagine, con un solo rapido suggerimento per il Sacro Cuore. Si voleva un segno «semplice» e «intuitivo», per il quale si era disposti a fornire un congruo compenso.
Per la verità, di concorso ce n’era stato già un altro, qualche mese prima, con un premio in palio di mille lire, ma era fallito: i bozzetti erano rimasti esposti nell’atrio dell’Università dopo l’inaugurazione, ma la competizione era stata dichiarata nulla, dopo un giudizio finale del cardinale Achille Ratti, che di lì a poco sarebbe salito al soglio pontificio come Pio XI.
Anche il secondo tentativo di selezione finì, tuttavia, senza un’immagine che fosse giudicata soddisfacente.
Per qualche tempo venne utilizzato allora un simbolo che poi a lungo avrebbe contraddistinto la casa editrice dell’Ateneo, Vita e Pensiero, un albero con radici e fronde accompagnato dal motto «Veritati et Charitati», di sapore agostiniano. La stessa casa editrice, del resto, era coinvolta anche nella creazione del marchio che campeggiava sul labaro, la bandiera identificativa dell’Ateneo donata da un gruppo di Amici; l’immagine, molto complessa, compariva anche sui primi volumi della collana di Scienze filosofiche, del 1923. Come ricorda Rovetta, «forse fu proprio […] per non creare confusione, che di lì a poco si decise di cercare un’immagine diversa per il logo destinato a identificare […], l’Università Cattolica nei suoi atti ufficiali».
Il logo definitivo dell’Ateneo compare per la prima volta sull’«Annuario» dell’anno accademico 1924-25, identificato come un «piccolo sigillo» creato da Salvatore Saponaro, uno scultore vicino a Giovanni Muzio, l’architetto cui si deve il progetto per la sede dell’Università Cattolica del 1929.
All’interno, la personificazione dell’Alma Mater (qualche volta confusa, nelle descrizioni, genericamente con un docente, altre volte con la Vergine; del resto, lo stesso titolo latino si riferisce alla dea madre prima e poi nel Medioevo alla Beata Vergine Maria, prima di diventare epiteto delle università), vestita con la toga, il bavaglio e l’ermellino e seduta in cattedra con un grande libro aperto sulle gambe e due discenti nell’atto di leggere, a sinistra, e scrivere, a destra. In alto, il Sacro Cuore raggiato, retto da due angeli. L’immagine, molto articolata, era completata dalla scritta «Universitas Catholica Sacri Cordis Jesu Mediolani» e racchiusa in una perlinatura fine. Ispirata a modelli medievali, finirà per influenzare, secondo qualcuno, anche il disegno della statua colossale del Cristo Re, realizzata da Giannino Castiglioni tra il 1928 e il 1930 per l’ingresso della sede centrale.
Il nuovo logo, per il quale come in altri casi padre Gemelli ha abbandonato l’idea del concorso per affidarsi a un artista di fiducia, compare stabilmente dal 1925 sui diplomi di laurea e sulla sommità della mazza rettorale, donata dai professori dell’Ateneo. È una composizione raffinata, elaborata ovviamente a mano, in cui l’equilibrio della scritta viene garantito da alcuni elementi grafici nella parte destra, che accompagnerà generazioni di studenti e laureati e resterà ufficiale – con qualche oscillazione soprattutto nel lettering che lo accompagnerà – fino all’inizio degli anni Duemila.
In questa fase il logo viene riprodotto per lo più in nero o in blu scuro, senza che ne sia definita una declinazione cromatica precisa.
La prima revisione degli anni Duemila
Con il nuovo millennio viene condotto uno studio approfondito per la sistematizzazione degli elementi grafici e per la costruzione di una guida utile a diffondere coerentemente l’immagine dell’Ateneo, fino ad allora mai svolto.
Il lavoro, affidato a Piero Addis per conto della SEC, si muove all’interno di un più ampio incarico di promozione e definizione dell’identità – con una particolare attenzione alla tradizione e all’esistente – e porta alla digitalizzazione del logo, precedentemente ancora basato su un bozzetto manuale, e all’aggiunta della scritta maiuscola UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE come logotipo in un anello circolare esterno, in carattere Goudy Old Style – una font molto elegante, creata intorno al 1915 (a rifletterci, sono gli anni in cui prende concretezza l’idea di un’Università Cattolica) per la ATF da Frederic Goudy, uno dei disegnatori americani che ebbe maggiore impatto sulle tendenze tipografiche dell’America della prima metà del ventesimo secolo; un tipo di carattere, come ricorda Simon Garfield «che strizzava l’occhio al Rinascimento con fluide linee di base, svolazzi irrequieti e grazie delicatissime», che diventa quello ufficiale dell’Ateneo.
Viene definito anche un sistema di colori, che insiste sul blu Pantone 282C (il Pantone è un sistema internazionale di codifica dei colori che ne garantisce una riproduzione accurata su tutti i supporti), un blu profondo molto tradizionale che si richiama a modelli rinascimentali e intende comunicare stabilità e affidabilità e sul Rosso scuro Pantone 202C, in particolare per le applicazioni istituzionali; parallelamente vengono codificati i colori delle facoltà, che si ritrovano già sulle copertine dei libretti universitari.
Un Manuale di identità visiva
Nel 2010 prende avvio un progetto istituzionale per la definizione della Brand Identity globale (Corporate) dell’Ateneo, che viene affidato a Paolo Romano: un’indagine condotta da Research International, una società specializzata in ricerche di marketing con base a Londra, ha infatti indirizzato le decisioni verso una riformulazione del logo che possa «parlare ad un target giovane» per «suggerire attualità e non solo storicità».
L’obiettivo è la produzione di un Manuale di identità visiva che affronti il maggior numero possibile di casi e che comunichi un’identità forte, «ricca di personalità» e «flessibile».
L’intervento di restyling cerca di ottenere una maggiore attrattività del marchio migliorando la «Corporate Reputation» dell’Università in senso «più familiare», cioè comprensibile a un pubblico ampio, «dinamico», ossia «in grado di relazionarsi in modo proattivo con il mercato», e «moderno» che tenga conto della tecnologia e dello sviluppo di nuovi modelli di relazione.
Il marchio originario viene così semplificato nelle linee e nelle sfumature: si valuta l’eliminazione di alcuni elementi ritenuti non necessari alla definizione (gli angioletti in alto, i cigni in basso, alcuni particolari grafici e la scritta “Mediolani”); il colore blu viene sostituito da un altro «più fresco»; il logotipo, cioè il lettering che accompagna il logo inserito nel restyling precedente, viene abolito e sostituito da un testo su più righe e con un carattere che in un primo tempo si ipotizza possa essere creato ad hoc.
Le linee guida per l’identità visiva definiscono tre colori di base (giallo pantone 131C, blu 2945C e grigio 11C).
Nella versione definitiva il nuovo marchio presenta la scritta Universitas Catholica Sacri Cordis Jesu Mediolani nella corona esterna a fondo giallo e l’immagine principale, largamente semplificata, su fondo blu. È sempre accompagnato da un logotipo per il quale viene scelto il carattere Salzburg, in grigio. Vengono definiti anche alcuni livelli successivi per la tipografia, che comprendono l’uso del Quebec e poi del Garamond – uno dei caratteri più utilizzati nel mondo, di tipo umanistico, e con più varianti anche molto diverse sviluppate nel corso della sua lunga vita da numerosissime Fonderie tradizionali e digitali – nella versione ITC.
Ne sortisce un marchio complessivo in tre colori che si vorrebbe più vicino al target degli studenti, poi adattato a una gestione tipografica più semplice, che resta in vigore con alcune varianti fino al 2020 e in uso su alcuni materiali e supporti.
Parallelamente vengono sviluppati alcuni loghi correlati, come quello del progetto Alumni con il quale l’Ateneo vuole rafforzare il rapporto con i propri laureati; per questo Ogilvy, il partner di comunicazione scelto nel frattempo dalla Governance dell’Ateneo, seleziona un tipo di carattere ad hoc – il Valter, una font sans serif (ossia senza grazie), ispirato a una scrittura a pennino e molto caratterizzato tra bianchi e neri – che viene combinato con il logotipo generale e un payoff, cioè una frase guida che spiega la proposta; è il preludio a una nuova revisione, che viene attuata in occasione del centenario di fondazione dell’Ateneo.
La revisione del 2020 e il logo del centenario
Con l’approssimarsi del centenario di fondazione dell’Università Cattolica (2021), «un’occasione unica per animare il dibattito culturale, coinvolgere le generazioni più giovani, costruire un ambizioso palinsesto editoriale che guardi ai prossimi cento anni», prende avvio una nuova revisione del marchio istituzionale e la realizzazione di un marchio celebrativo.
Le modifiche previste per il marchio istituzionale vogliono essere essenzialmente conservative: la struttura della versione precedente viene mantenuta ma diventa monocromatica (in blu Pantone 540C, definito «navy») e la corona diventa aperta. I tipi di carattere sono invariati. Per il secondo colore istituzionale, destinato alle comunicazioni apicali, viene scelto il Rosso Pantone 187C.
Il logo viene utilizzato preferenzialmente in unione con il logotipo, come già avveniva precedentemente, in versione orizzontale o verticale; il solo sigillo può essere utilizzato soltanto nei casi in cui per ragioni di opportunità o di spazio non sia possibile utilizzare la versione estesa.
Il marchio celebrativo, composto dal marchio istituzionale e dal logotipo celebrativo composto graficamente, mette in evidenza le date 1921-2021, tra le quali è inserito il nuovo payoff «Un secolo di storia davanti a noi», in carattere Bodoni 72 che è utilizzato anche sia per le titolazioni che per i testi relativi ai materiali di comunicazione dell’evento; gli usi sono riferiti per lo più alle iniziative in programma per il Centenario e alle circostanze ritenute significative.
Nel frattempo viene definito anche il sistema di varianti e colori, sia per il marchio istituzionale che per quello celebrativo, vengono analizzati ed elaborati alcuni loghi correlati (Alumni, Centri di ricerca, ecc.) e viene sviluppato un intero e dettagliato «Design System» per la comunicazione online, coerente con le linee guida sull’identità aziendale e in grado di supportare gli sviluppatori nella creazione dei nuovi strumenti e delle applicazioni digitali, con l’obiettivo di migliorare l’esperienza utente: è uno sforzo, parallelo a quello della sistematizzazione dell’uso delle piattaforme social, per la costruzione di un ecosistema coerente che rappresenti, anche a confronto con le nuove tecnologie e con le mutate esigenze di riconoscibilità presso gli utilizzatori, adeguatamente un Ateneo che vuole proiettarsi in avanti.
[Le citazioni di questo articolo sono tratte dalle corrispondenti edizioni dei manuali di identità dell’Ateneo e dagli studi preparatori. Un grazie in particolare a Elisabetta Matelli e Gerardo Ferrari per la disponibilità e la condivisione di notizie preziose sulle revisioni degli anni Duemila].