Comunicazione

È più che altro questione di fiducia

«Comunicare fiducia» è alla base di qualsiasi lavoro che ci mette a confronto con altre persone: mentre “comunichiamo noi stessi” comunichiamo anche l’azienda e ciò che stiamo facendo; se ci crediamo, siamo sinceri e coerenti, ma soprattutto se “rispettiamo il patto”, il nostro interlocutore può essere disposto a perdonarci anche qualche errore.

Se ne parla molto, spesso utilizzando parole che iniziano da “Brand” (marca) e finiscono a “Purpose” (scopo) e a “Trust” (fiducia; peraltro tutte traducibili in italiano forse senza grossi danni; ma si sa che alcuni settori risentono di più, nell’esprimere alcuni concetti chiave, di un’esterofilia che può raggiungere risultati perfino grotteschi): quale che sia la lingua utilizzata, è abbastanza ovvio in ogni caso che la fiducia sia un elemento critico dell’attività di qualsiasi azienda e che non è possibile avere successo se i nostri colleghi, partner e fornitori non si fidano di noi.
È fiducia nella marca, ma è sempre soprattutto fiducia nelle persone. E comincia innanzitutto da dentro, quando ciascuno di noi crea i presupposti perché coloro che gli stanno intorno – a partire dai colleghi e dai collaboratori — si fidino delle sue qualità: professionalità, credibilità, affidabilità e sincerità sono virtù personali che sfociano in valori aziendali, e alla fine generano fiducia.

Ma come fare a “comunicare fiducia”?
Nel 2021 un Report di Edelman, la più grande società di consulenza in comunicazione e relazioni pubbliche a livello mondiale, ha evidenziato le conseguenze che un maggior livello di fiducia da parte dei consumatori può avere per le aziende, rilevando l’orientamento di 14mila consumatori di 14 Paesi (l’Italia era esclusa dalla ricerca, ma è legittimo supporre che si applichi anche in territorio nostrano): l’88% degli intervistati ritiene che fidarsi di una marca sia un fattore determinante nella decisione d’acquisto. Per il 68% inoltre la fiducia è un valore più importante rispetto al passato, e il dato sale al 75% per i consumatori con un’età compresa tra i 18 e i 35 anni.
Nello stesso anno, Deloitte, che con il suo Report sui Global Marketing Trends individua le tendenze principali per il marketing del futuro e fornisce un’analisi dei bisogni dei consumatori, ha annoverato la fiducia come una delle tendenze globali di marketing più importanti. E infine un rapporto PWC – una delle più grandi aziende per i servizi di revisione, consulenza strategica, legale e fiscale e che elabora numerosi studi di approfondimento per le imprese – nel 2019 ha verificato come un’ottima esperienza cliente permetta di incrementare fino al 16% in più la spesa per un prodotto o per un servizio. La ricerca in azienda ha dimostrato insomma più di una volta che permettere esperienze positive ai clienti ripaga.

E i clienti a loro volta sono propensi a menzionare le loro esperienze positive a una media di 9 persone che stanno loro intorno (è anche vero, tuttavia, che gli stessi consumatori sono molto più inclini a condividere la loro esperienza se questa lascia un’impressione negativa).
L’esperienza positiva genera insomma fiducia, e la fiducia permette il raggiungimento dello scopo aziendale, che poi per un’azienda, anche non profit, spesso passa per un servizio soddisfacente: alla base c’è l’impatto di una comunicazione coerente, sincera, convincente.

Questa, non confondiamola con il linguaggio, o con l’immagine dell’azienda (l’uno è strumento, l’altra è uno dei risultati): in questo caso si tratta di quel processo che permette di condividere, di mettere in comune, non solo il servizio ma soprattutto l’esperienza che se ne è tratta. Non è cioè soltanto un affare che riguarda chi eroga il servizio o vende il prodotto, ma prosegue negli occhi di chi ne fruisce, e ne parla – bene o male – di seguito.

Spesso questa comunicazione non è basata sulle parole: secondo alcuni, solo il 5% di un discorso è basato sulle parole, tutto il resto è affidato al contorno, è “comunicazione emozionale”. Forse le percentuali sono eccessive, ma ci aiutano a capire che, mentre lavoriamo, comunichiamo.
Sia che distribuiamo un piatto di pasta in una mensa o che rassettiamo una camera in un collegio, sia che elaboriamo una campagna di comunicazione per i nostri servizi o che gestiamo il rapporto coi fornitori di un certo prodotto, comunichiamo. Stiamo comunicando, insieme a noi stessi, al nostro approccio e alle nostre parole, soprattutto l’essenza del nostro lavoro.

Se interpretiamo il nostro lavoro senza riflettere sui nostri destinatari, se siamo approssimativi, al di là del perdere un affare, del perdere in capacità di innovare, e forse dello smarrire la comprensione di ciò che stiamo facendo, tenderemo anche a dare l’idea che tutta l’azienda, i colleghi, persino gli altri fornitori, lo siano.
L’attenzione è duplice, e vale per lo specialista, cioè chi lavora al servizio della comunicazione ma anche, soprattutto per gli operatori.
Quello che si stabilisce è un vero patto tra emittente e destinatario, basato sull’affidarsi, e sull’affidarsi reciproco: qualcuno pensa che sia, come l’assicurazione, un investimento da fare in anticipo, prima che sorga la necessità.

Il cliente, l’utente, ci si affida, almeno una volta, e se arriva a fidarsi è disposto anche a perdonarci errori, aumenti di prezzo, persino disguidi e a valutare la sua esperienza “tutto sommato”. E a sceglierci di nuovo. Se però rompiamo il patto la fiducia cade di conseguenza; una buona comunicazione in quel caso potrà, forse, limitare i danni sul breve periodo, ma pericolosamente ci avvieremo sul crinale di una discesa che nel tempo, tra i sassolini che scivolano, può finire in un effetto valanga, fino a farci perdere in reputazione.

Come fare, allora.
Mantenere le promesse, dire sempre la verità, soprattutto comportarci coerentemente.
Sono tutti elementi di una buona comunicazione, ma sono innanzitutto parti fondamentali dell’etica di qualsiasi lavoro. In un senso diverso dall’originale di Catone, «Rem tene, verba sequentur» : se, cioè, riusciamo a tener fissa l’attenzione sulla sostanza, senza mai dimenticare il motivo per cui stiamo facendo ciò che facciamo, per tutto ciò che s’è detto il comunicare verrà di seguito, spontaneamente, e ancora di seguito dall’altro lato verrà la fiducia; il primo, il più importante, dei valori in un rapporto, anche lavorativo.

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