«Animalia», l’amore cantato dai barriti
Ci sono esseri che, organizzati in famiglie guidate da una matriarca, sono dotati di una particolare forma di intelligenza che assomiglia più ad una sorta di meravigliosa saggezza grazie alla quale riescono a percepire le cose e a scegliere tra varie possibilità che la vita pone loro di fronte.
Questi esseri, gli elefanti, conducono la propria esistenza all’interno di una rete di relazioni che si estendono in diramazioni sociali ampie e stratificate: in queste strutture, due o più famiglie che abbiano una particolare affinità costituiscono un gruppo di legame che ha come priorità quella di stare tutti insieme. Anche nelle situazioni di pericolo, gli individui si comportano con eccezionale tolleranza verso i loro simili.
«Il grande capolavoro della natura, l’elefante, unica grande creatura inoffensiva, gigante tra le bestie». Nel 1612 John Donne scriveva così; Carl Safina in Al di là delle parole, un saggio del 2015 tradotto in italiano ed edito per Adelphi nel 2018, nella preziosa collana Animalia, giunta al dodicesimo volume (La vita segreta delle iene), ci porta in dimensioni comunicative ed emotive alternative alle nostre e ci fa osservare questi giganteschi animali da vicino.
Scopriamo che gli elefanti praticano la cooperazione, collaborano, prestano soccorso a chi è in pericolo, a volte si mettono ai lati di uno di loro colpito da un dardo tranquillante lanciato dagli esseri umani e cercano di tenerlo in piedi; quando qualche esemplare è ferito alla proboscide, troverà certamente un suo simile pronto ad imboccarlo. Si tratta di empatia elefantina e non è poi così dissimile, scrive Safina, da ciò che porta gli esseri umani a desiderare di essere uniti.
Leggere le descrizioni della vita di questi animali ci porta in luoghi lontani che vorremmo più vicini; gli elefanti provano il desiderio di agire per alleviare il dolore dei propri simili, percepiscono la preoccupazione per qualcuno che sentono sofferente, condividono la tristezza dell’altro e agiscono per provare a lenirla. Questi grandi animali hanno ghiandole temporali sulle tempie che secernono liquido in caso di forti emozioni e soffrono per la morte dei propri simili con cui stanno sino alla fine per poi celebrarne la dipartita, toccando con la proboscide il loro corpo senza vita.
Per secoli, siamo stati abituati a pensare che, per il semplice fatto che gli animali non avessero parole, non avessero, allora, neppure il pensiero; nel corso del tempo la scienza è stata costretta a mettere in dubbio una simile credenza, e attraverso l’osservazione e lo studio ha demolito una simile convinzione. Il libro di Safina, attraverso uno stile piacevolmente divulgativo, ci mette davanti all’evidenza, indagando, oltre il mondo degli elefanti, anche quello dei lupi del parco di Yellowstone e dei cetacei che nuotano nelle acque del Pacifico nordoccidentale. Ci fa riflettere su quanto l’essere umano, soprattutto occidentale, sia stato e sia ancora sordo e cieco agli incredibili messaggi che la vita sulla terra gli riferisce e che si ostina a non ascoltare abbastanza.
Con la descrizione dei tratti cognitivi e affettivi-emotivi degli elefanti, in questo libro ci troviamo a vivere scene di vita familiare, la condivisione di momenti di gioco sfrenato e l’esperienza del lutto; grazie a loro, ci ritroviamo a pensare all’amore: «amore è davvero la parola giusta? Se un’elefantessa vede sua sorella e lancia un richiamo per restare in contatto con lei, o se un pappagallo vede il suo compagno e vuole stargli più vicino, è un sentimento di legame, qualunque esso sia, che li induce a cercare la prossimità. Amore è una delle parole che noi usiamo per il sentimento alla base del nostro desiderio di vicinanza».
L’amore, sostiene Safina, non è monolitico, e l’amore umano non è tutto identico né dal punto di vista qualitativo né da quello quantitativo ma questa è probabilmente la parola giusta da usare, quella che vorremmo trovare nelle pieghe del mondo, quella che dobbiamo portare nel nostro agire quotidiano e che, in questo libro meraviglioso, ascoltiamo, cantato dai barriti.