Riflessioni

Le idee valgono non per quello che rendono ma per quello che costano

La Storia non si fa con i se e con i ma. Per capire come sono andate le cose occorre mettersi nei panni di chi le ha vissute e provare a capire il tempo e il contesto in cui le ha affrontate. Troppo comodo, troppo facile rileggerla con il senno di poi, di cui – com’è noto – sono piene le fosse.

Vale per tutto, vale per sempre. E ci aiuta ad abbassare l’indice puntato (“chi sono, io, per giudicare?”, direbbe Francesco), da spocchiosi osservatori, sprofondati nella rassicurante poltrona di chi emette sentenze sulle opere e i giorni di chi ci ha preceduto. Soprattutto quelli vissuti in tempi difficili, ai tornanti più tortuosi della Storia.

Come può un uomo in tempi come questi decidere quel che deve fare?

«È divenuto così strano il mondo!» dice Eomer nel terzo libro del Signore degli anelli, dialogando con Aragorn. «Elfi e Nani camminano insieme sulle nostre praterie, in pieno giorno; c’è gente che parla con la Dama della Foresta, eppur rimane in vita; e ritorna a combattere finanche la Spada che fu Rotta nei tempi remoti, prima che i padri dei nostri padri giungessero nel Mark! Come può un uomo in tempi come questi decidere quel che deve fare?». «Come ha sempre fatto» disse Aragorn. «Il bene e il male sono rimasti immutati da sempre, e il loro significato è il medesimo per gli Elfi, per i Nani e per gli Uomini. Tocca a ognuno di noi discernerli, tanto nel Bosco d’Oro quanto nella propria dimora».

È non un problema ma il problema di sempre dell’uomo e dell’umanità: scegliere come porsi di fronte al bene e al male e discernere, nel momento stesso in cui la Storia si dipana davanti ai nostri occhi, da che parte stare.

Era così per il popolo nel deserto, di fronte all’invito che Jahvè rivolge in Deuteronomio 30,15: “Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male”. Restava solo da scegliere che via prendere. Compito, purtroppo, per nulla scontato, perché il confine non è mai netto, passa spesso dentro di noi e, come capita anche al più innocente dei piccoli “eroi” di Tolkien, Frodo Baggins, anche il puro per eccellenza non è esente dalla tentazione del potere e dell’egoismo. Anzi, proprio nel momento del compimento, rischia di vanificare la sua impossibile missione: distruggere l’anello di Sauron e vincere il male con le armi del bene.

Una festa che ci obbliga a fare i conti con la Storia

Pensare a tutte queste cose mentre ci apprestiamo a celebrare il 25 aprile, memoria di cui la polvere del tempo sembra confondere il significato, fa venire i brividi. Come ricordare il motto che il “Ribelle”, il giornale delle “Fiamme Verdi” – le brigate partigiane di ispirazione cattolica che nella mia Brescia e nel nord Italia trovarono terreno fecondo – riportava nella testata: “Non vi sono liberatori, ma solo uomini che si liberano”. È un invito alla responsabilità, al discernimento, al non rassegnarsi a facili compromessi.

C’è una persona, veronese di nascita, bresciano di adozione, la cui storia andrebbe riscoperta. Un religioso, “figlio” di San Filippo Neri, educatore di intere generazioni all’oratorio della Pace di Brescia, primo cardinale-parroco della storia della Chiesa (poi Francesco ci avrebbe abituato a queste sorprese!), per volontà di uno dei suoi più famosi “allievi”, quel Giovanni Battista Montini, papa Paolo VI, che in lui trovò un formidabile maestro.

I care vs Me ne frego

Padre Giulio Bevilacqua (1881-1965), fu uno dei primi a denunciare la tentazione diabolica che si nascondeva in quello che solo dopo impareremo a conoscere come il Regime fascista. Ancora nei primissimi anni successivi alla marcia su Roma – in cui molti, anche nelle alte sfere, avevano aperto il credito all’«uomo della Provvidenza» e alla sua, tutt’altro che disinteressata, difesa della religione (che portò al Concordato del 1929, su cui il giovane Montini, nelle lettere al padre deputato Giorgio, espresse giudizi molto severi) – Bevilacqua aveva intuito la menzogna che si celava dietro al Duce, “conduttore” come il Führer e, come lui, Verführer: “seduttore”, titolo per eccellenza del Maligno, come fa notare Romano Guardini

Opponendosi al partito che diventava regime e al regime che diventava stato, egli non obbediva solo a imperativi culturali, politici e sociali ma anche ad altri più profondamente religiosi, essendo per lui incontrovertibili l’inconciliabilità dei principi cristiani e dei diritti dell’uomo con i principi ispiratori della dittatura”, scrive nella sua biografia Antonio Fappani (Queriniana, Brescia, 1979).

Mentre le violenze delle camicie nere, tollerate e coperte dal nuovo governo, colpivano gli avversari politici e anche molti parroci coraggiosi, padre Bevilacqua rispondeva con queste parole alle minacce, indirizzate contro la Pace e la sua persona, che fecero seguito alle numerose denunce che aveva messo nero su bianco nel giornale “Il cittadino di Brescia”:

«Se potessi usare il vostro linguaggio, tre sillabe di risposta basterebbero (“Me ne fregondr). Sappiate, però, che so pagare dove, come, quando volete perché le idee valgono non per quello che rendono, ma per quello che costano. A voi o a chi per voi… è facile premere il bottoncino, tra i mille che vi stanno davanti, che mi abbatta. Sono più solo di quanto pensate. Vi convincerete, però, immediatamente che l’onnipotenza sul mondo dei corpi è impotenza sul mondo delle anime».

Una Storia che, per fortuna, ha ancora qualche testimone

Come andò a finire, si può leggere in qualche rapido articolo biografico, che dà conto di una vita ancorata “nel cuore della realtà. Quelle vibranti parole di padre Bevilacqua, le sentii per la prima volta, giovanissimo, e poi, molte altre, dalla bocca di Mino Martinazzoli, degno erede di un fermento del cattolicesimo bresciano e italiano di cui forse, sono rimaste, ahimè, solo tracce. Uno dei pochi politici che, su quel motto di padre Bevilacqua, rimise anche la sua poltrona di ministro. L’altro, e scusate se è poco, è l’attuale Presidente della Repubblica. E allora: in piedi, uomini e donne che si liberano! È la nostra festa.

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