In Università

Albero o presepio, purché sia Natale

Preferiamo il presepio o l’albero di Natale? In Italia il primo è particolarmente radicato nella tradizione, ma anche l’albero di Natale ha un significato cristiano profondo: entrambi ricordano l’amore, la speranza e la pace del Natale. In fondo, ciò che conta davvero è il messaggio di Dio che diventa uomo e rimane con noi.

«Il mio albero di Natale è troppo ingombrante perché io possa piantarlo in un angolo del salotto (veramente non ho nemmeno un salotto) o magari in anticamera, nel portaombrelli. Potrò fare domanda al sindaco per avere una piazza a mia disposizione? È difficile che il sindaco mi possa accontentare. Pianterò il mio albero di Natale in questo angolo del “Pioniere” che, per quanto piccolo, può contenerne tutti i doni, più uno, o più un milione: può contenere tutto quello che io voglio metterci». Il bell’incipit del racconto di Gianni Rodari, comparso nel 1958 sulla rivista da lui diretta, il “Pioniere”, ci porta subito al cuore del grande dilemma: di che Natale siamo? Facciamo parte del “team presepio” o della “curva albero”? Ognuno ha le sue preferenze, più o meno fondate. Una cosa è certa: sono entrambi simboli indiscussi del periodo natalizio. 

Sul presepio, in Italia vinciamo facile: la tradizione del bambinello corre lungo tutto lo stivale, anche perché a iniziare questa pratica commovente fu il santo più caro al nostro popolo e, diciamola tutta, all’umanità intera: quest’anno ricorrono anche gli otto secoli della nascita del primo presepio concepito da Francesco a Greccio nel 1223. Venendo a tempi più recenti, chi non ricorda l’espressione di Eduardo De Filippo in “Natale in Casa Cupiello”: «Te piace ’o presepio?». Soprattutto laddove, in molte famiglie, è il Bambin Gesù che porta i regali ai più piccoli. Il presepio è ricco di significati per i credenti. Racconta l’amore di Dio per l’umanità e, con l’incarnazione del suo unico figlio, mostra come la sua grandezza si fa vicina alla nostra povertà, tanto che il “Tu scendi dalle stelle” di un altro grande campano, sant’Alfonso Maria de’ Liguori, ci fa cantare commossi “a te che sei del mondo il Creatore mancano panni e fuoco”. Un messaggio profondo di amore, speranza e di pace. E l’immagine della capanna di Betlemme, quest’anno ancora di più, ci fa volgere lo sguardo verso la disperazione e la disumanizzazione di una porzione del Pianeta violentata dalla guerra.

«Gloria e Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore» cantano gli angeli ai pastori che, unici, si sono accorti del mistero che si compiva sotto i loro occhi. Cielo e terra sono gli elementi che entrano in campo anche nell’altro simbolo del Natale. Le radici nella terra, i rami verso il cielo. Anche l’albero di Natale, di tradizione nordeuropea, che quest’anno per la prima volta ha fatto la sua comparsa nei chiostri di largo Gemelli, ha un significato profondamente cristiano. Oltre a essere sorgente di vita, il suo elevarsi dal basso in alto è un richiamo costante al nostro legame con il cielo. Ma anche del cielo che ha messo radici nella terra. Le Sacre Scritture sono piene di passaggi dedicati al significato dell’albero. Più volte Benedetto XVI lo ha definito un «simbolo del Natale di Cristo, perché con le sue foglie sempre verdi richiama la vita che non muore». E nel 1978, ancora nelle vesti di cardinale Ratzinger scriveva: «Quasi tutte le usanze prenatalizie hanno la loro radice in parole della Sacra Scrittura. Il popolo dei credenti ha, per così dire, tradotto la Scrittura in qualcosa di visibile. Gli alberi adorni del tempo di Natale non sono altro che il tentativo di tradurre in atto queste parole: il Signore è presente, così sapevano e credevano i nostri antenati; perciò, gli alberi gli devono andare incontro, inchinarsi davanti a lui, diventare una lode per il loro Signore». 

Presepi e alberi nella sede dell’Università Cattolica a Roma

L’albero, allora, non è così distante dalla tradizione cristiana come qualcuno può pensare. Che in una casa brillino le sue lucine o la mangiatoia della capanna, poco importa. La vera cosa che conta, è quello che ci ricorda Romano Guardini in Natale e Capodanno. Pensieri per far chiarezza (Morcelliana, 1994): «Dio s’è fatto uomo, figlio di una madre umana, uno di noi, ed è rimasto ciò che Egli è eternamente, Figlio del Padre. Egli, che come Dio era in tutto, ma sempre «dall’altro lato del confine», nell’eterno riserbo, è venuto al di qua del confine, ed è stato ora presso di noi, con noi. Di questo evento parla il Natale. Questo è il suo contenuto, questo soltanto. Tutto il resto – la gioia per i doni, l’affetto della famiglia, il rinvigorirsi della luce, la guarigione dall’angustia della vita – riceve di là il suo senso. Quando quella consapevolezza però svanisce, tutto scivola sul piano meramente umano, sentimentale, anzi brutalmente affaristico».