Comunicazione

Rispondere è cortesia

L’e-mail può essere uno strumento lavorativo potente o anche una fonte di inquinamento; è soprattutto uno scambio (asincrono) di informazioni, che lascia il tempo di riflettere bene su che cosa si scrive — e anche su cosa si legge.

L’attività di scrittura di lettere e biglietti è stata per lungo tempo intensa, fino a codificarsi in genere letterario; si scriveva per lavoro, per diletto, per far sapere anche soltanto della propria presenza; si scriveva agli amici di penna, agli sconosciuti, agli amori della vita, a quelli effimeri, a chiunque fosse disposto a leggere.
A partire dal libro più famoso di tutti – come non citare le lettere inviate dagli apostoli alle prime comunità cristiane – fino alle lettere che Harry Potter non riceve per un’intera estate a causa dell’elfo domestico Dobby (in Harry Potter e la Camera dei Segreti), o da quelle che Ovidio scriveva dal doloroso esilio di Tomi, sul Mar nero o che Gramsci scriveva dal carcere fino a quelle di vari personaggi più o meno famosi, raccolte in una intera collana creata apposta dalla Editrice Archinto e significativamente intitolata “Lettere”, l’attività epistolare ha finito per costituire il soggetto di parecchia letteratura.

È un’attività praticamente scomparsa, come molte altre, almeno nella forma cartacea e insieme alle buche per le lettere, per rinascere in altra forma, quella della e-mail, più o meno aiutata dalle rivoluzioni tecnologiche dell’ultimo cinquantennio.
Una e-mail (più spesso semplicemente «mail») è una «lettera elettronica»; affermazione tautologica che nasconde alcune verità.
A partire dal fatto che è una lettera, e che non è molte altre cose.

Dall’ottobre del 1971, quando un giovane sviluppatore aggiunge una chiocciola @ a un messaggio per indicare un “nodo”, cioè un server remoto presso il quale recapitarlo (per la verità di mail i ricercatori di Boston se ne scambiavano già da qualche anno, ma tutti all’interno dello stesso server), lo strumento mail è diventato presto virale, cioè diffuso praticamente ovunque, per scambiarsi informazioni.
Nel giro di qualche anno aveva già raggiunto il 75% degli utenti collegati ad Arpanet, la rete antesignana di Internet, e in breve il sistema era stato raffinato con le prime mailing list, ossia gruppi di discussione che si scambiavano e-mail su determinati argomenti.
La storia è appassionante, come molte di quelle che riguardano periodi avventurosi, ma rischierebbe di portare fuori strada.

Il punto è che lo scambio di e-mail, soprattutto dal punto di vista lavorativo, può essere uno strumento prezioso ma anche una fonte di inquinamento terribile.
Come strumento richiede, da sempre, qualche regola; hanno inventato anche un termine, per indicarle, le regole che si applicano a Internet e alle e-mail: la netiquette, formalizzata dal 1995.

A prescindere dalle regole, l’uso delle mail richiede soprattutto parecchio buonsenso; a cominciare dal cercare di dare sempre una risposta ai messaggi, almeno a tutti quelli che non siano spam o spazzatura e che siano rivolti proprio a noi. Anche soltanto per dire di aver ricevuto, oppure che no, non ci interessa l’argomento della conversazione.
Non è che sia necessario rispondere subito, a meno di un’urgenza; così come quando si manda una e-mail non è necessario selezionare sempre la casella “importante” o scrivere sempre URGENTE in oggetto; il rischio è che oltre al fastidio del destinatario che dovesse rilevare un livello diverso di importanza o di urgenza, la prossima volta il destinatario medesimo finisca per ignorarci.

Quando poi inviamo una mail, teniamo sempre a mente che si tratta di un documento, che oggi può avere anche un valore giuridico e che può essere archiviato e utilizzato dai nostri corrispondenti anche in un secondo momento: perciò rileggiamo quel che abbiamo scritto, magari non solo per correggere gli errori grammaticali — possono scappare, qualche grado di spontaneità è persino concesso in una corrispondenza informale — ma soprattutto per verificare se il contenuto ha senso per i nostri destinatari.

Che sia l’apertura di una conversazione o una risposta, ricordiamoci sempre che, come nelle belle corrispondenze, nel testo è bene avere una formula d’apertura, possibilmente cortese, un corpo in cui si spiega ciò che è necessario, una formula di chiusura con i saluti e la firma — soprattutto se l’indirizzo e-mail dal quale scriviamo è di servizio, generico o d’ufficio, ma anche se scriviamo dal nostro account personale.
Se scriviamo a un estraneo o a uno sconosciuto come se in strada ci riferissimo al nostro compagno di bevute (peraltro: non si fa neppure per strada, di apostrofare qualcuno senza una formula di cortesia o almeno un saluto, per quanto sia sempre più raro; utilizzare una formula aiuta l’interlocutore a predisporsi positivamente nei nostri confronti, perciò non è solo corretto: ci aiuta innanzitutto a raggiungere l’obiettivo), aspettiamoci anche che la risposta, se ci sarà, sia a tono — come vorremmo fosse la nostra quando riceviamo qualcosa che non ci piace.

C’è molto altro, per chi volesse approfondire, che purtroppo non rientra nei programmi scolastici e che bisogna imparare da soli: ma nella maggior parte dei casi è sufficiente iniziare, come dappertutto, dalla cortesia di una risposta, la stessa che vorremmo i nostri interlocutori ci rivolgessero.