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Strehler incontra Shakespeare. Intervista ad Erika Baini su regia e teatro

Con questa prima intervista ad Erika Baini, autrice di La regia critica e le urgenze del presente. Strehler incontra Shakespeare, uscito nel 2021, inauguriamo una serie di dialoghi sui libri di EDUCatt, tra didattica e ricerca.

Come nasce La regia critica e le urgenze del presente. Strehler incontra Shakespeare e come si è configurata l’occasione di pubblicare per EDUCatt?

Il libro trae origine da una costola della mia tesi di laurea magistrale intitolata Il viaggio di William Shakespeare in Italia alla volta del Piccolo Teatro di Giorgio Strehler in cui ho cercato di mettere in luce le tappe attraverso le quali il teatro shakespeariano è entrato a far parte della coscienza civile, sociale e politica italiana a partire dal Risorgimento fino all’esperienza del Piccolo Teatro di Giorgio Strehler, grazie al quale nacque una nuova concezione di regia che iniziò a imporsi come urgenza ed emergenza interna a quella determinata epoca. Pochi anni più tardi il mio elaborato riscontrò l’interesse da parte della professoressa Annamaria Cascetta, storica del teatro, della drammaturgia e della performance contemporanea, la quale mi propose una pubblicazione per la collana editoriale del CIT – Centro di Cultura e Iniziativa Teatrale “Mario Apollonio”. Il saggio si sarebbe dovuto concentrare sul rapporto tra Shakespeare e Strehler analizzandolo non solo dal punto di vista drammaturgico ma inquadrandolo soprattutto nel contesto storico coevo alla vita e all’opera del regista triestino cercando di analizzare in che modo e in che misura la Storia e gli eventi che hanno coinvolto l’Italia del secondo dopoguerra abbiano influito sul Teatro di Strehler, e quanto Shakespeare sia stato un efficace e fondamentale punto di riferimento nel mostrare, attraverso la poetica strehleriana, il fluire e l’irrompere spesso violento della Storia tra le mura del Teatro. Da qui La regia critica e le urgenze del presente. Strehler incontra Shakespeare che prende parte al progetto culturale sorto in seno all’anno dedicato al centenario strehleriano inaugurato dal Piccolo Teatro di Milano.

La scelta di pubblicare per EDUCatt è stata dettata dall’esigenza di rivolgere la mia ricerca e di offrirla come materiale di studio a tutti gli studenti universitari in modo da favorire nuove opportunità di dialogo e confronto che abbiano come tema il Teatro e la sua funzione, nonché la sua missione.

La Tempesta di William Shakespeare, regia di Giorgio Strehler, Milano 1977/78. In foto Fabiana Udenio (Miranda) e Tino Carraro (Prospero). Fotografia di Luigi Ciminaghi per gentile concessione dell’Archivio Storico Piccolo Teatro di Milano- Teatro d’Europa.

Il libro segue Giorgio Strehler attraverso la messa in scena dell’opera teatrale di Shakespeare dalla fine degli anni Quaranta fino alla fine degli anni Settanta. Delle dodici regie strehleriane ne ha scelte quattro, La bisbetica domata (1949), Il gioco dei potenti (1965), Re Lear (1972) e La Tempesta (1978).  Ci racconta chi era Giorgio Strehler, come mai ha scelto proprio queste quattro opere e qual è quella che preferisce?

Non è facile racchiudere la personalità di Giorgio Strehler in una sola definizione. Sicuramente posso dire che Strehler è stato innanzitutto un grande uomo di cultura, che ha dedicato quasi esclusivamente la sua vita al Teatro facendo in modo che l’Uomo attraverso il Teatro potesse riconoscersi, riscoprirsi e anche perdonarsi. Il rapporto che lega Strehler al Teatro conserva in sé il germe di quel legame tutt’altro facile ma speciale che intercorre tra padre e figlio, tra amante e amata. Egli è stato un riferimento imprescindibile per tutti i suoi attori e collaboratori che ancora oggi lo ricordano con tanto affetto e gratitudine, un compagno tanto difficile quanto sensibile. Strehler è stato il demiurgo per l’Uomo del secondo dopoguerra sia dal punto di vista artistico che dal punto di vista morale nonché un rivoluzionario che ha introdotto in Italia un nuovo modo di “fare il teatro” segnando così un punto di non ritorno in ambito artistico-culturale. Egli infatti ha regalato la figura del regista a un paese nel quale essa ancora non esisteva se non sotto forma di tentativi che non hanno avuto una continuità. Strehler è stato a pieno titolo figlio del suo tempo, attento alla Storia e ai suoi colpi di mano.

La mia scelta è caduta su quelle quattro regie dal momento che proprio attraverso di esse è possibile leggere più chiaramente l’evolversi della concezione del Teatro da parte di Giorgio Strehler. Esse infatti pongono sotto la lente d’ingrandimento il processo storico-politico che ha condotto il regista triestino a un’evoluzione e a una maturazione della sua concezione di teatro e di regia. In questo modo è stato possibile tracciare un percorso di maturazione che non solo non può prescindere dal contesto storico in cui tali opere sono state messe in scena, ma che la Storia ha contribuito a plasmare. Tra le quattro quella che preferisco è La Tempesta del 1978 perché nel rapporto Strehler-Shakespeare credo che sia quella che più di tutte sia predisposta a parlare all’Uomo di oggi e a fare in modo che ognuno ci si possa riconoscere. Il caos, il male, l’ingiustizia, il sopruso, la violenza, la follia derivata dalla brama di potere non sono altro che il costante paradigma della condizione umana universale. Quel 27 marzo 2020, quando il mondo era impegnato in una strenua lotta contro la pandemia, nella solitudine e nel silenzio di Piazza San Pietro, Papa Francesco disse che l’umanità tutta era in balìa della tempesta. E nella tempesta ci troviamo tutt’ora, partecipi della tragedia che si sta consumando sul fronte russo-ucraino. L’Uomo impigliato tra le maglie della Storia si scopre fragile, smarrito, vulnerabile, portatore di quell’oscurità che Prospero stesso dichiara di riconoscere in quanto creatura vivente, e dunque imperfetta. Ma La Tempesta di Strehler-Shakespeare ci ha mostrato che l’Uomo è anche, e soprattutto, una creatura alimentata dal desiderio di libertà e di armonia; egli è il possessore della ragione foriera di pietà e perdono nel contesto di un’utopia rinnovata dove l’Uomo stesso, nonostante la sua finitudine, passa il testimone ad altri uomini in vista di un mondo migliore.

Nel libro sostiene che «il Teatro è quell’utopia grazie alla quale Giorgio Strehler e Paolo Grassi, nel biennio 1945-47, fondarono il Piccolo», dopo l’apocalisse bellica della Seconda Guerra Mondiale. Il teatro, in un certo senso, poteva rappresentare la salvezza. Lo è stata davvero e può ancora assolvere a questa funzione?

Il Teatro per Strehler e per Paolo Grassi ha rappresentato un’ancora di salvezza dal punto di vista civile e morale. Tornare a fare cultura in una Milano che era appena stata messa in ginocchio da una sanguinosa guerra civile e che si era vista distruggere dai bombardamenti aerei alleati il Teatro alla Scala, il tempio della cultura per eccellenza e riferimento per la maggior parte dei meneghini, significava riconquistare il diritto di poter recuperare quella quotidianità che si credeva perduta per sempre. Ma questo non bastava per Strehler e per Grassi: c’era bisogno, dopo anni di imbarbarimento dell’umanità, di una cultura ad ampio spettro, che si rivolgesse a tutti, senza distinzioni. Era necessario un teatro che assolvesse alla funzione di teatro d’arte per tutti. L’obiettivo, dunque, era quello di creare una nuova realtà teatrale, proprietà del Comune, indipendente dalla politica, pienamente inserito nel tessuto sociale e in cui sarebbero andati in scena spettacoli indirizzati a un pubblico più ampio possibile. Da qui la nascita del Piccolo Teatro della città di Milano che, oltre a quella civile, ha assolto anche a una funzione morale pronta a rinnovarsi in concomitanza dell’evolversi degli eventi socio-politici. Il Teatro per Strehler si configurò, almeno per circa un ventennio, come luogo sicuro, lontano dall’irruenza e dalla violenza della Storia e in cui l’uomo e la donna sarebbero tornati in possesso della propria dignità riconoscendosi finalmente liberi dai mostri del passato. Nel pieno degli anni di piombo, che vedranno il loro apice nel rapimento e nell’assassinio di Aldo Moro, il regista triestino si renderà conto dell’impotenza del Teatro nel restare indifferente ai colpi di mano della Storia; esso non costituirà più quel baluardo difensivo destinato a preservarci dal male bensì il luogo della lucida presa di coscienza della responsabilità da parte dell’Uomo delle sue azioni. Solo così l’umanità sarà in grado di salvarsi, raccogliendo le macerie di un Teatro che non ha retto alla violenza della Storia e sublimandole in verità e poesia. Io credo che ancora oggi la cultura che ruota attorno al Teatro assolva a quest’ultima funzione morale che mette al centro l’Uomo e la sua esperienza, e alcune personalità come Stefano Massini, Serena Sinigaglia, Gabriele Vacis, Laura Curino, Romeo Castellucci e Tiago Rodrigues ce lo stanno dimostrando.

Il gioco dei potenti, adattamento di Giorgio Strehler dall’Enrico VI di William Shakespeare, regia di Giorgio Strehler, Milano 1964/65. Fotografia di Luigi Ciminaghi per gentile concessione dell’Archivio Storico Piccolo Teatro di Milano- Teatro d’Europa.

In cosa è consistita la rivoluzione teatrale di Strehler?

La rivoluzione di Strehler è consistita innanzitutto nell’aver creato un teatro d’arte per tutti, come dicevo pocanzi; un teatro comunale a gestione municipale concepito come necessità nazionale. Quello di Strehler si configura come un teatro politico nel senso aristotelico del termine, che non fosse veicolo di ideologie ma un luogo in cui tutti gli uomini e tutte le donne si riconoscessero e diventassero portatori di valori civili e morali. Un luogo in cui l’essere umano, in virtù della sua natura sociale, fosse spinto ad agire per il bene. Parallelamente all’idea di Teatro come pubblico servizio, Strehler affronta un secondo aspetto assolutamente rivoluzionario, ossia l’introduzione della figura del regista e della sua autorità nel nuovo contesto di gestione municipale. È la nascita della cosiddetta regia critica in cui il regista, attraverso una vigile consapevolezza umana e intellettuale, sarà colui che dovrà porsi rispetto al testo e alla messa in scena con esigenze non solo interpretative o filologiche ma con un’indagine aperta all’Uomo e al mondo. Un’ulteriore novità consiste nel concepire il teatro strehleriano come teatro di parola in cui il testo, fondamento dell’esegesi strehleriana, si fa poesia ragionata, abisso profondo nel quale scendere per recuperare la verità ultima.

Come si analizzano delle messe in scena e quanto è difficile?

L’analisi di una messa in scena richiede parecchia attenzione, studio e disposizione, soprattutto in assenza di una traccia audiovisiva, come nel caso della Bisbetica domata e del Gioco dei potenti. Ad ogni modo occorre una precisa e scrupolosa ricerca d’archivio, oltre alla lettura e allo studio di saggi sull’argomento. La consultazione archivistica permette di conoscere tutto il materiale che riguarda da vicino la messa in scena di un’opera e la sua genesi, quali le note registiche, la corrispondenza tra regista e traduttore, i copioni a uso della compagnia chiosati dagli attori o dai suggeritori, le fotografie di scena, i bozzetti delle scenografie e dei costumi, le locandine, gli opuscoli, e, laddove fosse possibile, il supporto audio video. In questo modo è possibile operare un’analisi drammaturgica accurata e il più possibile completa che tiene conto del contesto della rappresentazione, dei codici visivi e sonori. Per quanto riguarda l’approccio al testo, la traduzione e i vari copioni di scena si presentano come documentazione imprescindibile. In presenza di più copioni è necessario eseguire un lavoro di comparazione tenendo conto dei tagli, delle aggiunte e delle chiose, ossia delle correzioni e delle annotazioni che intercorrono tra un testo e l’altro in modo da restituire un’analisi testuale ragionata della messa in scena vera e propria.

Vorrei, inoltre, sottolineare anche l’emozione che mi è stata concessa di vivere consultando materiale di prima mano. Sfogliando il copione della Tempesta del 1978 appartenuto a una suggeritrice e conservato presso l’Archivio Storico del Piccolo Teatro di Milano, mi accorsi che esso recava una data: 4 marzo 1978. Tale data avrebbe costituito un aspetto particolarmente irrilevante se non fosse stato per un evento che si sarebbe consumato di lì a pochi giorni, gettando l’intero Paese nel panico e che avrebbe condotto Strehler a un punto di non ritorno nella sua poetica teatrale e nel suo rapporto con William Shakespeare: il rapimento di Aldo Moro il 16 marzo 1978. Chissà le sensazioni e le intenzioni con le quali quel copione è stato vissuto da quell’assistente di Strehler prima e dopo un evento come il rapimento, e l’uccisione, di Moro. Chissà i pensieri, le speranze e le paure che hanno attraversato e accarezzato quelle pagine. Anche questo fa parte dell’irripetibilità del Teatro.

A cosa sta lavorando ora?

Ho accolto con enorme piacere la proposta da parte della professoressa Annamaria Cascetta di entrare nei gruppi di ricerca con l’obiettivo di lavorare su due progetti riguardanti i seguenti temi: La parola ritrovata e l’Essere solidali. La ricerca sarà svolta nel contesto dell’Università Cattolica in collaborazione con il CIT – “Mario Apollonio” e con l’Accademia Ambrosiana.

Erika Baini è nata il 19 febbraio 1990 a Vizzolo Predabissi e attualmente vive a Milano. Laureata in filologia moderna indirizzo artistico-performativo presso l’Università Cattolica di Milano, collabora con la Rai e lavora nell’ambito della ricerca in campo umanistico.

Nel 2016 Silvana Editoriale pubblica sul dodicesimo numero dei Quaderni del Vittoriale un suo saggio intitolato Rapsodia Satanica, uno studio sui rapporti tra il film muto diretto da Nino Oxilia nel 1915 e i temi dannunziani e decadenti.

Nel 2019 entra a far parte del team dei giovani storici di Passato e Presente condotto da Paolo Mieli, in onda su Raitre e Raistoria, approfondendo tematiche legate alla storia e alla società contemporanee.

Nel 2021 EDUCatt pubblica per la collana editoriale del CIT – “Centro di cultura e iniziativa teatrale “Mario Apollonio” La regia critica e le urgenze del presente. Strehler incontra Shakespeare, lavoro che delinea l’evoluzione della poetica e della prassi registica di Giorgio Strehler attraverso la messa in scena dell’opera teatrale di Shakespeare dalla fine degli anni Quaranta fino alla fine degli anni Settanta.

Simone Biundo

Simone Biundo (Genova, 1990) è insegnante di lettere a Genova in una Scuola secondaria, è editor della rivista «VP Plus», è ricercatore indipendente di storia dell’editoria e della letteratura. Ha pubblicato poesie su «Neutopia», «Margutte», «Poesia del nostro tempo» e «Nuovi Argomenti». Per Interno Poesia è uscito il suo primo libro di poesie, "Le anime elementari" (2020). Con il poeta Damiano Sinfonico, l’attrice e linguista Sara Sorrentino cura la rassegna di poesia contemporanea , poet. – alla libreria Falso Demetrio. Qui in EDUCatt collabora come ghostwriter, SMM e content manager.

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