La tirannia dell’algoritmo e l’essere umano
Senza nessun dubbio il tempo della contemporaneità è complesso e mutevole, di difficile lettura. È facile disorientarsi nell’immenso mare di informazioni che, continuamente, il nostro mondo riversa sulle nostre piccolezze, assediate dalle esigenze pratiche e dallo scorrere del tempo. La tirannia dell’algoritmo di Miguel Benasayag ci aiuta a fare spazio e a respirare.
A volte, il risultato è una sensazione di disagio inerte o uno stato di quiescenza in cui si precipita senza quasi accorgersene. Si vive senza capire, o meglio, senza cercare di capire ciò che ci circonda e ciò che valica il primo cerchio di relazioni in cui siamo immersi.
Per affrontare il disagio dell’incoscienza, può essere utile andare oltre la notizia quotidiana, veicolata dal telegiornale della sera, dalla trasmissione radio ascoltata in auto o in metro, dai post che scorriamo seduti sul letto o perfino a lavoro, e dedicarsi alla lettura di testi lunghi, che necessitano di tempo, i cui autori, per noi, hanno già fatto lo sforzo di districarsi tra le notizie, e di interpretarle, per poter poi offrire una visione euristica del presente.
Un libro-intervista uscito recentemente per Vita e Pensiero, La tirannia dell’algoritmo, può aiutarci in questo scopo. Miguel Benasayag, l’autore, analizza la realtà del nostro presente, che vive in un rapporto simbiotico con le macchine mettendoci in guardia dal rischio che siano gli algoritmi dei Big Data a guidare sia le nostre vite che le nostre democrazie.
L’ibridazione, come dice il filosofo e psicanalista di origine argentina, è ormai avvenuta e se non è possibile rifiutarla è impellente ammetterla come «realtà della governamentalità algoritmica: la vita degli individui e delle società è orientata e strutturata da macchine», anche perché, per la verità, «il mondo algoritmico non è né per né contro il vivente, gli è indifferente». Il risultato è che noi abitanti di questa terra esistiamo sempre meno come individui o comunità e sempre di più come avatar e profili virtuali che possono essere agiti, colpiti e considerati come esseri semplici, simili, se non identici. L’obiettivo, allora, per contrastare l’oppressione, consiste nell’imparare, come esseri umani, ad esistere nel mondo ibridato, non rinunciando alla libertà e alla imprevedibilità del vivente, che mal si accorda con le categorie dell’efficienza e della performance.
I social, il gps, le offerte di vendita, le profilazioni, ottimizzano non sono la nostra vita individuale ma anche, ovviamente, la società intera, indirizzandola non necessariamente verso il bene comune, quanto piuttosto verso una supposta organizzazione sistemica perfetta e meccanica, che mina a fondo le nostre democrazie, e rischia di livellare verso il basso l’esperienza dell’umano. «La digitalizzazione è violenta perché elimina le differenze», scrive l’autore. Trovare vie alternative, complesse e organiche, «a livello sanitario, ecologico, demografico, economico», è questa la sfida futura, per tutti, secondo Benasayag.