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Fuori sede, un viaggio oltre la distanza

Un viaggio lontano da casa, sulla strada della formazione umana, culturale e professionale verso un futuro talvolta incerto e non sempre corrispondente alle aspettative: Fabiano Sarti, membro della Funzione Mediazione Culturale, Integrazione e Supporto Pedagogico e direttore della Residenza Buonarroti, dà voce ai molti fuori sede che ogni anno si affacciano al mondo universitario con bagagli pesanti, non solo materialmente.

Quando Marta è arrivata per la prima volta a Milano non era sola, ma accompagnata da mamma e papà. È arrivata in Stazione Centrale, è scesa trascinando diverse valigie e, con un po’ di fatica, tra una metropolitana e un autobus, ha raggiunto quella che per la lei sarebbe stata “casa” per i successivi 5 anni. Tra la curiosità e il disorientamento si è guardata intorno, ha preso possesso degli spazi, ha capito dove si trovavano il supermercato, la farmacia e la lavanderia e poi ha fatto un giro, prima in università e poi nel nuovo quartiere.

Quella di Marta potrebbe essere la storia di tanti tra gli oltre 80.000 studenti che hanno scelto le università milanesi pur vivendo in una provincia fuori della Lombardia. Siamo abituati a vederli così: ragazze e ragazzi che giungono da lontano, che affollano stazioni e aeroporti in occasione del Natale o della Pasqua, oppure li riconosciamo da quell’accento e da quei modi così poco milanesi. Sono famosi perché ogni anno, nei mesi di settembre e ottobre, fanno capolino nelle cronache di giornali e tv per raccontare l’inguaribile mancanza di posti letto, piuttosto che la corsa dei prezzi di un alloggio che diventa insostenibile per troppi di loro.

Eppure il criterio geografico, o meglio la dimensione dello spazio, non è l’unico a definire chi sono e quale viaggio stanno compiendo. Certo, vivere in un’altra città significa avere l’opportunità di immergersi in una nuova cultura, incontrare persone di origini differenti, vivere in luoghi nuovi con nuove abitudini, ma forse la sfida più grande non è questa.

Si tratta piuttosto di fare i conti con la propria capacità di adattamento, con la lontananza da casa, dagli affetti e dagli amici, con la propria autonomia. I ragazzi e le ragazze che scelgono di vivere per la prima volta in un’altra città per realizzare il loro progetto di studi devono fare i conti anche con la solitudine comune a tutti gli inizi, con la gestione dello stress e con la paura di non farcela. Accanto alla dimensione della distanza, dello spazio, compare così quella delle relazioni e del rapporto con sé stessi. La sfida più grande diventa allora quella di costruirsi una nuova rete di rapporti, cercando spazi di autenticità che possano aiutare a sentirsi pienamente sé stessi; di imparare a vivere la propria libertà cercando di costruire l’equilibrio con la propria responsabilità; infine, di riconoscersi giovani adulti impegnati nel proprio percorso di crescita personale.

A questo compito – bellissimo e allo stesso tempo vertiginoso – si affiancano poi i temi e le difficoltà proprie della generazione a cui appartengono: due su tutti sono i nodi con cui le nostre ragazze e i nostri ragazzi sembrano fare i conti con maggior fatica, ovvero la sensazione costante di dover sempre raggiungere un risultato stabilito da altri e la solitudine in cui molto spesso si sentono persi.

Mi sono interrogato molto intorno al peso del giudizio che gli studenti sentono sulle loro spalle e sono giunto alla conclusione che, se è vero che spetta solo ad ognuno di loro fare i conti con la propria storia e con il proprio mondo interno, chi come me ha un ruolo educativo nei loro confronti ha il compito di aiutarli a sviluppare un pensiero critico verso la domanda che gli altri – e il contesto sociale più ampio – pone loro.

Essere ‘fuori sede’, infatti, può significare anche ‘essere fuori posto’: non in un altrove qualsiasi, piuttosto in un posto unico, preciso, definito dalla mia storia, dalle mie competenze, dai miei desideri e dalle mie scelte; una ‘sede’ che è solo mia e non quella dove gli altri vorrebbero che mi trovassi. A volte questi due luoghi coincidono, altre volte sono distanti nello spazio e nel tempo: quello che è certo è che, per essere autentica, la scelta di dove vorrò trovarmi dovrà essere sempre rivoluzionaria ma mai anarchica, sostenuta dalla visione di un mondo che ho fatto mio.

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