Storie

La caserma Garibaldi, una storia di migranti

L’acquisto ormai finalizzato, tra lavori in fase di compimento, della Caserma Garibaldi in Piazza sant’Ambrogio a Milano permetterà all’Università Cattolica di costruire il più grande campus universitario d’Europa nel cuore di una Città: un luogo di passaggio e di migrazioni, destinato a essere ancora crocevia, ma adesso di esperienze e cultura.

Racconta Raffaele Crovi in quel romanzo oggi semidimenticato che è Carnevale a Milano, che meriterebbe come altri una rilettura, di ragazzi che a Milano negli anni Cinquanta studiavano o meglio trascorrevano il tempo in Università Cattolica, di un incontro, lui nato a Paderno Dugnano, alle porte di Milano, ma trapiantato in Emilia e poi espatriato di nuovo a Milano, tra un collegio e un appartamento a due passi dalla sede universitaria, in una città «rifugiata nella nebbia, la gente senza voglia di parlare», in una piazza Sant’Ambrogio densa di emigranti, «emigranti anche d’inverno», in cui riconosce qualcuno della sua zona, e vi si riconosce in un tu e nel dialetto.

Quella di Crovi a Milano, studente, poi redattore Einaudi al seguito di Elio Vittorini e infine vicedirettore editoriale della Mondadori, ma anche giornalista, sceneggiatore, scrittore è una storia di editoria e letteratura che Giuseppe Lupo ha raccontato bene, nel libro Le utopie della ragione (Aliberti editore, 2003), e che meriterebbe un racconto a parte.

Ma ai suoi tempi, tra i Cinquanta e i Sessanta, piazza Sant’Ambrogio era una zona molto diversa da oggi, di case eleganti e di aiuole curate: era piena degli studenti di un’Università Cattolica molto più piccola dell’attuale, i ragazzi del collegio maschile Augustinianum e le ragazze del femminile Marianum, ma anche quelli del Franciscanum che si erano iscritti in ritardo o avevano perduto il diritto di risiedere gratuitamente nei collegi maggiori; e c’erano poi quelli che abitavano nei palazzi d’intorno, come Crovi dopo il primo anno, tra via De Amicis e via Terraggio, dove c’era una latteria in cui si ritrovavano alla sera; voci e volti che si mescolavano alle facce scure, sofferte e scavate, e ai vestiti stazzonati dei migranti che un tram speciale portava lì dalla stazione centrale per lo smistamento, da un sud che erano tutte le parti d’Italia, a finire poi in Lombardia, in Francia, in Germania, in Belgio, ancora più in là.

Storie di cartone, di uomini col berretto in mano, di una Milano fredda e umida che accoglieva da treni zeppi la gente e la intruppava su tram a tre carrozze, privi di numero, da via IV Novembre, verso la caserma Garibaldi, che in Piazza Sant’Ambrogio conteneva il centro di orientamento all’immigrazione e che smistava poi uomini e donne, con gli occhi bassi e acquosi, verso vite nuove e sempre nostalgiche.

Come ricorda Vincenzo Consolo, anche lui studente del Collegio Augustinianum per un anno (Leggere Milano, a cura di Barbara Peroni, Unicopli 2006, pp. 56-61), che vi ritrova la sua Sicilia, le persone accolte nel Centro erano sottoposte a visita medica da delegazioni straniere, francesi, svizzere, belghe. Restavano tre o quattro giorni. Quelli destinati alle miniere di carbone del Belgio, che prometteva condizioni particolarmente vantaggiose e dove li portava un treno a settimana, a Milano venivano già forniti di casco, lanterna e mantellina cerata.

Nella caserma riadattata a centro informale d’accoglienza pian piano s’erano fatti, col sostegno della Caritas ambrosiana, anche un nido d’infanzia, una cappellina e una mensa, per dare conforto agli emigranti.

Ecco: è bello pensare che l’Università Cattolica, il più grande ateneo cattolico d’Europa, ricca di studenti che vengono da tutte le parti d’Italia e dall’estero (37 duble degree, 165 nazionalità rappresentate nel 2023), cresciuta da un’idea azzardata, anche grazie ai sacrifici delle donne e degli uomini che in quegli anni sacrificavano molto, salivano e scendevano per lunghe scale e bussavano a porte e facevano questue per raccogliere fondi per quei ragazzi che avrebbero potuto essere i loro figli, negli anni duemila quella caserma l’ha acquisita per trasformarla in nuove aule, in un luogo aperto all’internazionalizzazione, al muoversi di studenti e docenti da una regione all’altra e da un Paese all’altro, che in qualche modo di quella esperienza di migrazione è parente strettissima.

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