Quel che resta dopo il pasto, sostenibilità del packaging per fondere innovazione e cura
Dal boom del food delivery a nuove abitudini sostenibili: quando il contenitore diventa un atto di gentilezza nei confronti del pianeta.
C’è un gesto diventato ormai abitudine per molti: aprire un’app, scegliere il piatto preferito e aspettare che il cibo appena cucinato arrivi fino alla porta di casa. È il rituale del food delivery, nato dalla comodità ma cresciuto fino a diventare una parte importante della nostra quotidianità. Ma mentre ci godiamo il piacere di un pasto senza muoverci dal divano o dalla scrivania, c’è una domanda che bussa alla nostra coscienza: dove finisce tutto ciò che resta dopo?
Il settore del food delivery è in rapida crescita, ma con esso aumentano anche i rifiuti derivanti dagli imballaggi monouso. Secondo un’indagine di Just Eat e Lifegate, il 90% dei consumatori preferirebbe ricevere il cibo in contenitori sostenibili, consapevoli che ogni vaschetta di plastica e ogni busta in polistirolo sono piccoli frammenti di un problema molto più grande.
All’Università Bocconi di Milano, la startup Zero Impack ha dato vita a un progetto semplice ma rivoluzionario: contenitori riutilizzabili per il delivery. L’idea è tanto efficace quanto immediata: si ordina il cibo, lo si riceve in contenitori non usa-e-getta, e li si restituisce entro sette giorni. In cambio, si guadagnano punti, piccoli premi simbolici per chi sceglie di agire in modo consapevole. Un sistema che restituisce valore al concetto di circolarità, che premia la scelta quotidiana di fare meno rifiuti.
Nel resto d’Europa e nel mondo qualcosa si muove. Deliveroo, ad esempio, ha coinvolto oltre 35.000 ristoranti in 12 Paesi per introdurre packaging ecosostenibile, riducendo significativamente l’uso della plastica. Uber Eats, dall’altra parte dell’oceano, ha avviato un progetto pilota a New York insieme a DeliverZero, proponendo contenitori riutilizzabili in oltre 80 ristoranti, con la possibilità di restituirli o farli ritirare.
Solo in Italia, nel 2020, il food delivery ha registrato un incremento del 54%, con un fatturato che ha toccato 1,4 miliardi di euro. Numeri che raccontano di un settore in piena espansione, ma che portano con sé una nuova urgenza: quella di ripensare il modo in cui consumiamo e smaltiamo le risorse.
Tre startup italiane – Mama Science, Alkelux e AgreeNet – hanno sviluppato soluzioni innovative per ridurre l’uso di plastica nel packaging e combattere lo spreco alimentare, cresciuto del 45,6% in un anno. Le loro tecnologie includono coating bio-based, polveri biodegradabili e dispositivi naturali che prolungano la vita dei prodotti freschi fino a 20 giorni. Il 66% degli imballaggi è ancora in plastica, con un riciclo inferiore al 50%.
Le soluzioni selezionate da FoodSeed – il programma di accelerazione AgriFoodtech promosso da Cdp Venture Capital Sgr, con il supporto di Fondazione Cariverona, UniCredit e Eatable Adventures – puntano a sostituirli senza modificare le linee produttive. L’obiettivo è ridurre i 14,1 miliardi di euro di spreco alimentare annuo (fonte: Ansa, 9 giugno 2025).
È qui che la responsabilità quotidiana entra in gioco. Scegliere contenitori riutilizzabili, dire no a posate in plastica usa e getta, prediligere ristoranti che adottano pratiche sostenibili. Sono scelte piccole, quasi invisibili, ma che hanno il potere di innescare un cambiamento culturale.
Le mense del nostro Ateneo hanno da sempre l’obiettivo virtuoso di trovare soluzioni sostenibili per l’ambiente che non pregiudichino la qualità del servizio offerto: in Mensa&Pizza.9 a Milano i packaging per l’asporto sono in carta riciclabile, così come i sacchetti in cui poter portare via il proprio pasto.
La sfida è implementare e migliorare l’asporto in tutte le altre realtà dell’Università Cattolica, puntando a creare nuove pratiche di responsabilità condivisa senza gravare eccessivamente sul costo del pasto.
Prendersi cura della nostra casa comune non significa rinunciare alla comodità, ma imparare a viverla in modo più consapevole. Significa dare valore al gesto semplice di scegliere un’opzione sostenibile, perché anche in un piccolo imballaggio può nascondersi un seme di cambiamento.