Storie

La collezione del Conte

La bellissima Sala Negri da Oleggio, in Università Cattolica a Milano, è un luogo magico di suggestione e di passione libraria. Intitolata al Conte che fu donatore del nucleo essenziale del patrimonio che vi è esposto, è un invito allo studio e alla bellezza.

A metà degli anni Settanta «una nuova biblioteca che viene aperta al pubblico è un fatto culturale e sociale che va segnalato e messo in giusta evidenza e questo tanto più quanto più importante e preziosa è la collezione che viene offerta ai lettori». Lo ricordava Tino Foffano, allora direttore della Biblioteca dell’Università Cattolica di Milano dal 1968 al 1995, in un articolo sulla Rivista «Aevum», in occasione dell’apertura al pubblico della nuova Biblioteca Negri da Oleggio in Università Cattolica (La Biblioteca Negri da Oleggio: una preziosa raccolta di storia lombarda, «Aevum», 1974, 5/6, pp. 570-575).

Lo studioso e bibliofilo lombardo Conte Vincenzo Negri da Oleggio (1887-1976) nel 1968 aveva infatti donato all’Istituto Toniolo di Studi Superiori – ente fondatore e garante dell’Università – la sua Biblioteca di circa 7.500 volumi (che contano un incunabolo, una cinquantina di cinquecentine, 32 manoscritti e una collezione di grida che ci riportano subito echi manzoniani), per renderla disponibile agli studiosi.
Nel 1974 la «Biblioteca Negri» – una raccolta specializzata, costruita intorno a un preciso interesse per gli studi milanesi e lombardi – fu collocata in una sala monumentale della sede centrale dell’Università Cattolica di Largo Gemelli 1, a Milano. La sala, accanto al Rettorato, intitolata anch’essa al Conte (oggi Aula Negri da Oleggio, appunto), rivela ancora in parte l’assetto rinascimentale del complesso benedettino su cui è sorta l’Università Cattolica, riconoscibile dal sistema di volte a unghie e vele o a semiombrello che caratterizza l’aula, probabilmente identificabile con lo «scaldatoio», cioè l’unico ambiente riscaldato dell’antico monastero in cui i monaci si acclimatavano prima di mangiare o dove preparavano gli inchiostri e i colori per codici e miniature, che «Torre nel 1674 ricorda affrescato da Bramantino con un suggestivo sistema di quadrature» (A. Rovetta, Dal progetto bramantesco alla soppressione napoleonica, in La fabbrica perfetta e grandiosissima, Vita e Pensiero, Milano 2009, p. 63).

Nell’aula, bellissima, tra i libri a vista che attendono dietro le grate come monaci in preghiera, il gioiello della raccolta è probabilmente il diploma del 9 gennaio 1106 con sottoscrizione autografa della contessa Matilde di Canossa (una delle personalità più affascinanti degli inizi del primo millennio, protagonista del famoso episodio in cui l’imperatore Enrico IV, suo cugino, per ottenere la revoca della scomunica da parte del papa Gregorio VII, nel 1077 fu costretto ad attendere davanti al portale d’ingresso del castello per tre giorni e tre notti inginocchiato con il capo cosparso di cenere).
Il più antico dei manoscritti è invece un Passionario, certamente di origine milanese, che conserva le vite dei martiri e dei santi che si incontrano nel calendario ambrosiano dall’11 novembre all’8 maggio. Ma c’è anche una Chronica Bossiana del 1492, una storia di Milano scritta dal notaio Bossi di cui furono prodotte solo una cinquantina di copie e di cui gli esemplari sopravvissuti sono pochissimi; e ci sono anche i Rerum ltalicarum Scriptores del Muratori e la prima edizione dei Promessi Sposi e della Storia della colonna infame del Manzoni, oltre a numerosi altri classici della storiografia lombarda. Fino all’inizio degli anni duemila ospitava anche la statua dell’Immacolata del Manzù, e ricovera ancora oggi un frammento della guglia del Duomo di Milano e altri reperti.

Ad aprirne la porta d’ingresso che dà sulla Cripta e sulla veranda dell’Aula Magna, tra le poltrone rosse e il legno scuro degli scaffali, nella bella luce che cade dal giardino vicino – quello che qualcuno vorrebbe protagonista della conversione di sant’Agostino – si respira la suggestione di un luogo, un’aria di studio e di passione per la cultura che sembra venire, immutata da secoli, direttamente da un altro tempo.

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