Riflessioni

Miracolo a Sanremo

Una kermesse, che fino a non molti anni fa sembrava relegata alla periferia del panorama musicale italiano, è tornata a essere il luogo in cui le cose accadono e, quasi senza accorgersi, diventano un pezzo di storia (almeno dello spettacolo) del nostro Paese.

Il conto alla rovescia è cominciato. Mancano poche settimane al Festival di Sanremo, la kermesse canora che, più di qualsiasi altro programma, tiene inchiodati davanti allo schermo milioni di italiani. Ma la febbre per quel che accadrà sale. E forse per questa 74esima edizione ancora di più. Perché dovrebbe essere l’ultima presentata da Amadeus (e il toto-nomine per il successore parla già di Alessandro Cattelan) che in questi ultimi anni, piaccia o non piaccia, è riuscito a fare bene attirando l’attenzione dei Millenials, come dimostra il Fantasanremo. Perché le aspettative per lo spettacolo sono alimentate abilmente con gli annunci in prima serata al Tg1 e nello show mattutino dell’amico Fiorello. Perché ancora una volta, almeno gli aficionados come noi, ci aspettiamo qualche colpo di scena, sicuramente imprevisto, ma destinato a entrare nella storia della televisione: il caso Fedez e Rosa Chemical nell’ultima serata dell’edizione passata, la lite tra Bugo e Morgan ormai parte dell’immaginario comune o, andando indietro nel tempo, la vicenda degli operai che minacciarono di buttarsi giù dalla balaustra dell’Ariston durante una delle tante conduzioni di Pippo Baudo.

Per tutte queste ragioni possiamo parlare allora di miracolo “Sanremo”, giocando sulla parodia della toponomastica. Amadeus in questi ultimi quattro anni, soprattutto durante la pandemia, ha saputo trasformare il Festival in un grande evento mediatico, una sorta di Super Bowl nazional-popolare. Così il più noto palco della cittadina ligure non ha più lo stigma di luogo minore che aveva anni fa o di rassegna per soli cantanti pop, ma, anzi, si sta rivelando un valore aggiunto nel mostrare tutto il campionario musicale italiano del momento: più che un concorso canoro, verrebbe da dire, una specie di Fiera (come quella del Mobile con il “fuori Salone” annesso), in cui puoi trovare tutti i generi musicali per tutti i gusti, dove, se giochi bene le tue carte, puoi preparare i passi successivi di una carriera, di una produzione o addirittura di una tournée.

Un palco, quindi, che è tornato a essere nuovamente appetibile perché luogo di consacrazione di alcuni cantanti (basti pensare ai Måneskin ormai famosi in tutto il mondo), ma anche di lancio di nuovi protagonisti (quanti ne sono usciti negli ultimi anni, da Mahmood a Blanco e a Mr.Rain) e perché no di ri-consacrazione di cantanti e di gruppi con una loro vita artistica consolidata e che 10-15 anni fa non sarebbero mai tornati a Sanremo, ma che ora lo fanno affrontando la gara e magari uscendone ulteriormente rafforzati (penso a Elisa o Gianni Morandi, e quest’anno ai Negramaro e anche a Ghali, che ha accettato la sfida di ritornare come concorrente dopo aver indossato nel 2020 i panni di super ospite italiano). Che questo modello possa sopravvivere ad Amadeus è tutto da vedere. Sicuramente, oltre a un format azzeccato, la canzone italiana ha ritrovato un luogo che fino a pochi anni fa era solo un pallido ricordo di tempi gloriosi. Se vale la similitudine con il Salone o la Fiera, allora vale il vecchio detto coniato dal critico televisivo e professore dell’Università Cattolica Aldo Grasso per il nostro Ateneo: «Perché le cose accadano, ci vuole un luogo». Sanremo, negli ultimi anni, è riuscito a diventare forse il luogo nevralgico della musica popolare italiana, uno snodo in cui ormai anche cantanti e gruppi affermati non disdegnano di calcare il palco per raccontare il proprio progetto musicale. Più che per la gara in sé è diventato il luogo a cui tutti guardano, restituendo così alla tv generalista lo scettro di regina dello share che reti televisivi a pagamento e piattaforme digitali le hanno portato via. E, non da ultimo, è tornato il luogo dove le cose accadono per davvero. E magari senza rendercene conto, poiché tutto avviene in diretta, nel giro di pochi secondi, trasformando il pubblico in spettatore inconsapevole di momenti che gli intellettuali, senza giri di parole, definirebbero “trash”, ma che col tempo subiscono una sorta di storicizzazione. Entrano, cioè, a far parte della nostra memoria collettiva, come conferma quel gran patrimonio culturale contenuto nell’archivio delle meraviglie delle Teche Rai. Un modo per dire che in buona parte la storia italiana dello spettacolo, nel bene e nel male, passa da Sanremo.

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