Riflessioni

Io vulesse truvà pace

Una rilettura, arricchita da musica, cinema e altra letteratura, del famoso episodio ecfrastico dello «Scudo di Achille», per una ricerca di pace – con le parole del grande Eduardo De Filippo –, ma una «pace senza morte», in cui a perire sia innanzitutto la discordia tra gli uomini.

Colpito e disarmato da Apollo, ferito da Euforbo e finito da Ettore, Patroclo cade e una fosca nube di dolore avvolge il suo migliore amico Achille che si cosparge il capo e la tunica di cenere, si strappa i capelli, si rotola in terra piangendo, circondato dai lamenti delle ancelle e trattenuto dal compagno Antiloco (secondo un rituale non dimenticato fino a poco tempo fa nelle isole Eolie, dove in occasione delle esequie aveva luogo la “tenuta”: quando il “tabbuto”, la bara, veniva calato nella fossa il parente più prossimo urlando faceva l’atto di gettarsi nella fossa medesima e veniva trattenuto a forza dai vicini).

«Perisca la discordia fra gli uomini e fra gli dèi, perisca l’ira, che spinge alla furia anche il più saggio, che è molto più dolce del miele stillante e come fumo si gonfia nel petto degli uomini!».
Pur conscio che il suo breve destino si compirà a Troia, non prima di aver fatto strage di Troiani e aver preso la sua vendetta su Ettore, per un momento in uno sfogo con sua madre Teti accorsa dalle profondità marine a confortarlo, il più valoroso e spietato eroe dell’Iliade si lascia animare da una inaspettata speranza di pace (del resto confesserà anche ad Odisseo nell’Ade che avrebbe preferito essere un bracciante di un uomo povero piuttosto che il più glorioso fra i morti).
Ma questa aspirazione è per lui irrealizzabile: egli infatti accantona l’ira verso Agamennone per la quale si era ritirato dalla guerra e decide di andare incontro alla sua sorte di violenza e sopraffazione dell’avversario fino alla propria morte; quindi si manifesta presso il fossato con l’egida di Atena sulle spalle avvolto da uno splendore luminoso culminante nella nube d’oro attorno al capo, apparizione che atterrisce i Troiani e consente agli Achei di recuperare il corpo del caduto.
Le armi di Achille indossate da Patroclo sono andate però perdute, e così Teti si reca dal divino artigiano Efesto per pregarlo di costruire una nuova armatura per il figlio.

La narrazione dei sanguinosi eventi fin qui descritti viene messa in pausa, cedendo il passo alla descrizione dello scudo a cui lavora il dio mescolando insieme bronzo, stagno, oro e argento.
Efesto fissa per prima cosa «la terra, il cielo ed il mare, l’infaticabile sole, la luna piena, e tutti i portenti di cui si incorona il cielo, le Pleiadi, le Iadi, il forte Orione, e l’Orsa che chiamano anche col nome di Carro»: qui la creazione artistica sembra essere immagine della creazione originaria a partire dagli astri, eterni segni del cielo che riguardano il destino dei mortali e le loro vicende e che presiedono al mutare ciclico delle stagioni, quindi ai lavori agricoli e sono infine guida ai naviganti (l’elenco ritornerà identico nell’Odissea, quando il protagonista lasciando l’isola di Calipso va per mare non distogliendo lo sguardo da queste costellazioni).
Dopo la cosmologia, Efesto passa a modellare le opere e i giorni: si rappresentano la città e la campagna, la pace e la guerra. La prima scena è animata da banchetti e cortei nuziali, un movimento collettivo di spose in processione con le torce insieme a danzatori e a suonatori, dappertutto riecheggia il canto nuziale dell’imeneo: è proprio il tempo sospeso della festa, quando “il cor si riconforta”, la comunità si riunisce insieme dimenticando ogni dolore pensando solo a «sponzarsi come il baccalà»…: con le parole di Diamante, il famoso brano di Zucchero Fornaciari del 1989 (ma il testo è, dicono i bene informati, tutto da attribuire a De Gregori),

«i nostri occhi vedranno passare insieme soldati e spose
ballare piano in controluce
moltiplicare la nostra voce
per mano insieme soldati e spose».

Questi piaceri sono tuttavia negati ad Achille e a Ettore (e del resto «Il futuro non riguarda più noi due», dice Frank-Henry Fonda ad Armonica-Charles Bronson prima del grande duello finale in C’era una volta il West del grande Omero del cinema Sergio Leone), così come non sono consentiti a Odisseo il quale deve resistere al continuo invito del suo ospite, il re dei Feaci Alcinoo, a rimanere per sempre come suo genero nella beata Scheria.

Nella città felice e in pace alla violenza privata subentra l’amministrazione della giustizia: Efesto scolpisce infatti la celebrazione di un processo da parte di un ἵστωρ (histor), un giudice che sa, coadiuvato da un gruppo di saggi anziani seduti su pietre lisce (proprio come siedono i vecchi presso i Feaci) riuniti nel cerchio sacro, come in cerchio erano i Cavalieri della Tavola Rotonda e come in cerchio sono gli anziani nella visione della Sagra della Primavera di Stravinskij.

Ma siamo pur sempre nell’Iliade, la guerra è accettata come fatto naturale (solo nell’ Iliade?…) ed ecco rappresentata la scena di una cruenta battaglia in cui imperversano la Furia, il Tumulto e la Morte funesta.

Segue l’avvicendarsi dei lavori stagionali: a ogni giro del primaverile campo a maggese i solleciti aratori meritano una coppa di vino dolcissimo; nella tenuta regale in estate uomini e ragazzi procedono senza posa nella mietitura del grano e il re “soddisfatto in cuor suo” assiste in silenzio alla bella scena  e nel frattempo si prepara il pasto. Del resto «chi semina nel pianto mieterà nella gioia»… ed eccoci già nel periodo della vendemmia in cui ragazzi e ragazze «dall’animo lieto» operano nella vigna da veri homines ludentes ancora una volta danzando e cantando il lino, un canto di lamento che però fa spazio alla gioia dell’acino che certamente muore a se stesso ma rivive nel buon succo dell’uva.
Si rimane allietati come di fronte alle miniature delle Tres Riches Heures du Duc de Berry!

Si passa poi alla vita dei pastori: prima una mandria di buoi è attaccata da due leoni mentre viene condotta al pascolo, nella scena successiva si descrive velocemente un gregge in una valle verdeggiante.

Il dio artigiano chiude con una magnifica scena di danza di maschi e femmine, probabilmente nella loro paideia iniziatica con il richiamo a Dedalo e Arianna di Cnosso a Creta, l’“altrove” originario di queste danze iniziatiche.

In ultimo, tutto intorno allo scudo Efesto mette Oceano, il fiume che all’epoca di Omero si pensava circondasse la terra.

L’armatura è pronta, la pausa di questo momento di pace è finita, il mondo riprende il suo corso.

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